VIAGGIANDO … VIAGGIANDO

(stralcio)

 

 

Partire è sempre un’emozione!

Un viaggio che pur si può programmare in tutti i suoi aspetti, resta sempre un’incognita.

Buon viaggiatore è colui che si affida all’imponderabile con fiducia e curiosità.

Buon viaggiatore è colui che porta i bagagli dentro di sé, anche alla rinfusa: sempre più snelli delle valige!

Buon viaggiatore è colui che approfitta del percorso, che pur deve fare, per cogliere la vera, intima ragione per cui si è messo in cammino.

Il viaggio è la metafora della vita che, a ben vedere, non è altro che un percorso: breve, lungo… non ha importanza, purché sia intenso.

 

………

 

PREMESSA

 

Viaggiando... Viaggiando, nasce come relazione da proporre agli amici di sempre amici con cui, regolarmente, mi incontro almeno una volta la settimana e ormai da più di vent’anni.

Vivendo in un piccolo paese che non offre molte alternative, il trovarsi ed il ritrovarsi, il raccontare e il raccontarsi, è diventato per il nostro gruppo regola di vita.

Si trovavano nelle stalle i nostri antenati della civiltà contadina, e facevano salotto: noi ci troviamo nella mia casa e facciamo salotto.

A questi amici era destinato il mio lavoro per raccontare loro il mio viaggio a Santiago De Compostela.

Doveva essere una relazione asciutta, geograficamente precisa, storicamente corretta così come piace a Giancarlo Lualdi, ispiratore del gruppo, temibile nostro critico e nostro trainer.

Giancarlo..., che ci ha fatti innamorare del medioevo tenendoci un corso di storia, Giancarlo che ci ha diretti in un corso di comunicazione, sperimentale, organizzato a casa mia anni or sono quando, ancora, non conoscevamo le potenzialità di questa tecnica nel quotidiano.

Giancarlo pretendeva da me, una esercitazione di public speaking, all’interno del gruppo per illustrare l’esperienza del viaggio a Santiago.

Public speaking, ovvero esercitazione oratoria con argomento mirato, a tempo predeterminato, con critica e valutazione finale da parte del gruppo. Insomma un esame, uno stress...

Nello stendere le note che dovevano accompagnare l’esercitazione, mi sono accorta subito che andavo via via debordando dagli stretti limiti imposti dalla public speaking e già prevedevo il severo giudizio del nostro trainer; ciò nonostante, la mano correva dietro alla mente così velocemente da non saper fermare mente e mano...

Presente, passato, ricordi, racconti ascoltati... pensieri e sentimenti... tutto si trasformava in parole: tutte da scrivere.

Così le ho scritte privilegiando l’uso di un italiano formalmente non corretto, linguaggio che mi sono costruita per raccontare le panzanighe contadine che ho raccolto, nel tempo, prendendo spunto dalla viva voce dei protagonisti.

Sono andata a ruota libera, ignorando le tecniche della comunicazione e le regole della grammatica o forse usandole..., ma a modo mio.

 

……..

 

LA PREPARAZIONE DEL VIAGGIO

 

La nostra attrazione per Santiago de Compostela e Finisterre, per quanto a Fabio ed a me, nacque anni fa in conseguenza al nostro interesse per l’alchimia. Più volte ci imbattemmo in vari testi su queste località tanto pregne di significati per gli alchimisti medioevali.

In seguito e per motivo del tutto diverso, Santiago, ritornò sulla nostra strada in occasione di contatti che allacciammo con la sua prestigiosa Università, utili per un nostro progetto sul territorio del magentino: promuovere un centro studi universitari nella splendida canonica Agostiniana di Bernate Ticino e, perché no, gemellarla con quella di Santiago.

Progetto cui stiamo lavorando ancora oggi.

Questi due fatti, così diversi fra loro, ci diedero la sensazione che Santiago sarebbe entrato ancora nella nostra vita per qualche strana ragione che coglievamo nell’aria e definivamo “coincidenza”.

Rimasi a bocca aperta, la scorsa primavera, quando l’amico Tino della libreria “Memoria del Mondo”, mi propose a bruciapelo di presentare al pubblico di Magenta un libro e la sua autrice.

Rimasi senza fiato quando appresi che il titolo del libro era “Sola sul Cammino” di Anna Lamberti Bocconi: questo libro parlava del viaggio a piedi, fatto dall’autrice a... Santiago de Compostela..., compresi subito senza bisogno di interrogare i tarocchi, che questo terzo segno non andava ignorato.

Santiago in qualche modo ci chiamava. In particolare, a me, suggeriva, nella circostanza, di non nascondermi più dietro mille e una scusa di inadeguatezza. Mi spronava al contrario ad assumermi una visibilità, invece di dirigere sempre tutto e tutti, da dietro le quinte, a giocarmi la faccia esibendomi nel ruolo inedito di conduttrice, abbandonando momentaneamente quello di “regista” che mi è più congeniale.

Opposi a me stessa e a Tino tutte le resistenze possibili per... scappare; poi, in un sussulto di orgoglio, accettai: alla malora tutte le paure, che mettersi in gioco è un bell’esercizio per ridere di se stessi. Santiago, monello giocoso, provocatore, vinse ed io, affidandomi alla Divina Provvidenza, superai una prova con me stessa.

 

L’idea di andare a Santiago per conoscere meglio questo intrigante personaggio incominciò ad entrare, seppur nebulosamente, nella testa mia e di Fabio.

Ne parlammo. Fabio che è un entusiasta estremista, mi propose d’istinto di andare a Santiago in moto: lui, io, la moto e 4.400 Km da percorrere. Fabio alla guida, io in sella! Abituata alle stranezze di mio marito per via di una lunga frequentazione del personaggio, che si perde nella notte della nostra adolescenza, gli diedi del matto incosciente. Opposi che genitori di tre figli bisognosi ancora di cure, tutto potevano immaginarsi di fare, fuorché sparire nelle mani dell’imponderabile, su di un mezzo tanto precario. Discutemmo animatamente, ci rinfacciammo torti antichi e moderni e persino torti che, alla fine della discussione, non sapevamo più nessuno dei due a chi imputare!

Vado da solo…, esordì Fabio.

Fai come vuoi…, risposi io, ben sapendo di aver evocato la parola magica che, nel lessico della nostra famiglia, mette fine alle discussioni.

“Fai come vuoi…” è la chiave di volta, vuol dire “sei libero”: tanto so che, nel momento in cui ti affranchi nella tua libertà... non farai niente senza di me! Quindi non si va a Santiago e non se ne parla più! Anzi, meglio, voglio essere democratica: “un giorno andremo, forse!”.

Tutto questo, naturalmente, si pensa ma non si dice.

In questa occasione la formula magica non sortì l’effetto di sempre.

Vado da solo e vado in moto - precisò Fabio.

Va bene, allora vengo anch’io - replicai rassegnata, non potendo permettere che mio marito affrontasse da solo questa avventura.

Vengo anch’io - esordì nostra figlia Marella - non vorrete fare una esperienza simile senza portare anche me?!

Non si può andare in moto in tre  - obiettò Fabio.

Non andiamo in moto - propose pragmaticamente Marella.

Va bene, vedremo, ci rifletteremo, decideremo - replicammo noi per prender tempo.

Fate come volete  - rispose astutamente Marella.

 

Eravamo in tre e senza moto!

……..

 

MISTRAL - LA CAMARGA - LA CRAU - CARNON

 

Imbocchiamo la strada per Arles, felici di esserci districati in un punto, forse l’unico, che sul percorso può ingenerare confusione.

Aspetta, rallenta Fabio... chiedo attenzione! - salto su io, cartina in grembo, sobbalzando sul sedile della macchina, come fossi stata morsa da una tarantola - Vi rendete conto di dove siamo?

La strada Salon - Arles che stiamo percorrendo, viaggia sul confine sud della Crau!

E allora? commentano indifferenti le ragazze…

Allora? - riprendo io, in preda a una forte emozione… - allora - proseguo - sulla nostra sinistra c’è la Camarga con le sue lande saline e sulla destra abbiamo il territorio della Crau: la terra di Federic Mistral (1830/1914) il cantore della Provenza! Nobel per la letteratura nel 1904.

E cosa sarebbe questa Crau? Chiedono le ragazze.

È una pianura sassosa che lambisce le lande della Camarga. Terra dove grilli e cicale sono in perpetuo concerto d’estate. Le sentite le cicale? Sono assordanti! A noi dan persino fastidio, a Mistral suggerirono una poesia. Noi le subiamo, lui le ascoltava, ne comprendeva il linguaggio. È questa la differenza tra il comune mortale e il poeta.

Terra di armenti e di pastori che la risalgono su, su fino a S. Remy de Provence dove l’aria è più fresca e l’erba è tenera. Luogo di appuntamento, S. Remy, anche per armenti che scendono i monti del Delfinato quando in montagna incomincia l’autunno, per brucare nella Crau l’erba invernale.

Terra di ulivi e di grano, terra di gelsi e di bachi che fornivano seta per i bei scialli di Lione, quelli che ogni arlesiana poggiava sulle spalle e chiudeva sul petto...

Terra di giunchi che crescono negli stagni del vicino Martigue, raccolti per farne ceste e involucri per formaggi... terra spazzata dal furore del vento il Mistral, impetuoso e travolgente come il poeta con cui condivide la parentela.

La Crau, è questa vasta pianura, indicata qui sulla cartina, che si estende dalle Apilles al mare, confinante a levante con gli stagni della contrada del Martigue e a ponente col Rodano. Martigue: Venezia di Provenza perché sorge su un gruppo di isolotti collegati da canali.

È questa la terra cantata da Mistral in “Miréio” ed in altri poemi, Mistral uno dei fondatori del movimento letterario “Lou Felibrige”!  snocciolo lì per lì a raffica, che l’arteriosclerosi ha i suoi vantaggi, avendo letto Mistral, tanto tempo fa!

Mai sentito! è il commento lapidario di Fabio e Annarosa. Mi sento isolata nel gruppo: nessuno dei miei compagni può condividere la mia emozione, nessuno comprende che il nostro percorso stradale, qui, per me assume sfumature e contorni particolarissimi. La poesia in lingua provenzale, nata nel medioevo con i trovatori, antecedente remotissimo, rinasce grazie a Federic Mistral e al suo gruppo letterario dal nome incomprensibile: Lou Felibrige, nel 1900 o giù di lì.

La mia reazione emotiva sul confine della Crau, in qualche modo coinvolge i componenti della piccola tribù che si è installata in macchina dopo ore e ore di viaggio… Io vorrei condividere i ricordi delle mie letture, gli altri son disposti ad ascoltare pazientemente, forse solo per farmi contenta.

Mamma - dice Marella - sei fuori, mi sembri una di quelle della mia età che urlano sotto la sede di T.R.L. a Milano, quando arrivano le stars internazionali della musica! Chi è questo Mistral che non è mai entrato nella hit parade? Cosa suona, cosa canta e cosa balla, magari esibendosi come il gruppo dei “California Dream-men” con giù i calzoni...? ridono dissacranti le ragazze.

Suonava le armonie della sua terra, con il solo strumento della parola - attacco io poetica, ignorando la provocazione e provocando a mia volta -Cantava i sentimenti della sua gente... a cappella... Ballava i colori della sua terra, facendo ritmo con le mani e schiocco con le dita... come a dire che l’armonia non ha bisogno di musica... è musica essa stessa!

E l’armonia è la musica dell’universo.

Le ragazze, sono ammutolite dopo la mia tirata sull’ermetico che loro non praticano abitualmente.

Colgo un sussurro… un pettegolezzo - Mia mamma è fuori, poverina... Parla spesso in modo incomprensibile - giustifica Marella alla sua amica Ottavia.

Che cosa è questo movimento letterario: Lou Felibrige? si interessa Annarosa già con la voglia di averne tra le mani un saggio.

Se non ricordo male - attacco io - Mistral con un gruppo di amici si piccò di conservare alla Provenza la sua lingua, le sue tradizioni, i suoi colori. Il significato di Lou Felibrige era oscuro anche per loro perché si era perso nel tempo. Girava nella loro testa come una lontana tiritera ascoltata nei villaggi natii di Provenza, relativa alla Madonna intenta a narrare al figlio Gesù i dolori da lei patiti: i Felibrige, appunto. Termine questo che nelle mani dei poeti di Provenza diventa motto di un movimento per la rinascita della lingua e cultura Provenzale.

Mistral il più famoso del gruppo scrisse pagine bellissime nella sua lingua.

Il movimento crebbe, trovò proseliti, ma anche detrattori. Vennero persino accusati di fomentare sentimenti separatisti. Intellettuali, certo creativi, goderecci, buontemponi, il gruppo dei Felibrige era intento a godersi il gusto della loro creatività più che a seminar zizzania per la Francia...!

Tuonarono i soloni dell’epoca contro il gruppo dei Felibrige. Soloni di allora che han figliato, tra un’ansia e l’altra di veder minacciato il loro potere, ed hanno generato i soloni di oggi.

Allora come oggi incapaci di comprendere, che la riscoperta delle proprie radici è cultura che porta progresso perché, essa cultura comprende che la diversità è ricchezza, patrimonio per tutti i popoli.

 

... Soffia sul nostro secolo

un vento tracotante,

che vuole fare di tutte le erbe

un sol fascio:

noi, i buoni Provenzali,

difendiamo le vecchie dimore

su cui volteggiano

le nostre rondini... .

 

Esordisce così Mistral nel 1878 nella sua estesa poesia “i buoni provenzali” rappresentazione ideale di sentimenti, usi e costumi, odori e sapori di una cultura che desidera tramandarsi.

Anche oggi cento anni dopo, i suoi versi inquietano, portano alla nostra emergente globalizzazione con tutto ciò che di buono porterà, ma con tutte le incognite che comporterà. Porta ai movimenti separatisti lasciati in mano solo all’interesse economico in un deserto culturale che spaventa.

Il mondo è bello perché è vario dice il proverbio. Finché è vario aggiungo io.

Certo la cultura, anche quella minore come quella locale, deve fare il pari con apertura Come può dirsi tutelata una cultura chiusa in se stessa per non contaminarsi?

Tutto si evolve.

Non si contamina e non si perde e non si perderà fino a quando ci saranno trovatori e poeti e menestrelli e cantastorie che in tutte le lingue e dialetti manterranno la tradizione viva: oralmente, intorno al fuoco di una notte stellata, come nel deserto nella cultura antica mediorientale, o nel tiepido delle stalle, come nella nostra tradizione contadina; o attraverso i canti e i balli trascinanti della cultura africana e così via. Il mondo dei piccoli, un mondo colorato, ricco di luci ed ombre che lo rendono affascinante; tutto da scoprire, da curiosarci dentro, da imparare.

 

Questo processo di riscoperta per farne eredità agli eredi diretti e strumento di conoscenza per gli altri, non ha niente a che spartire con la salvaguardia della purezza del sangue o peggio della razza.

“I puri (ma chi? Quali? che il sesso grazie a Dio, meno bigotto di noi, non ha mai avuto confini e barriere) i puri, ed è scienza, se ci fossero fra gli uomini, come nei cani che seleziona l’uomo, son destinati a diventar cretini, per un fatto biologico.

Il sangue che non si rinnova, mantiene è vero caratteristiche genetiche tipiche, orecchie alte, code impettite, zampette nervose, pelo folto, ma ahimè perpetua tare.

Geneticamente puri, fisicamente poco sani, intellettualmente inadeguati, psicologicamente carenti… bella razza, bella famiglia!

Era la famiglia - società ideale del nazionalsocialismo germanico osserva Annarosa. È anche la famiglia ideale di tanti sciocchi di adesso, osservo io.

Appunto... bella famiglia! dice Fabio, sarcastico.

I cani pastori tedeschi son belli sì, commentano le ragazze.

Cosa c’è di male?

La storia contemporanea non è pane scolastico delle nuove generazioni. Letta da destra o da sinistra, pur con tutte le faziosità di parte che si voglia, poco importa. Grave è che sia poco letta, poco trasmessa, poco discussa: meglio il sacro romano impero; non crea problemi e non divide perché non gliene può importar de meno a nessuno.

 

Ecco Arles. Ecco il Rodano ancora fiume che scorre azzurro e disciplinato sotto antichi ponti di pietra, ordinato, tra filari di vecchi pioppi, verdi, in mezzo ad una campagna rigogliosa che ci ricorda la nostra Lombardia del mantovano o del pavese se non fosse che qui tutto accade sotto una luce abbagliante di sole, di turchino e di verde, accecante.

Una luce che sembra evocata da qualche gitana della vicina Camarga esperta in fatture e sortilegi. Una luce che avvolge, penetra, incanta, fa restare a bocca aperta per lo stupore.

Come è bello qui! commentano le ragazze improvvisamente resuscitate dal torpore che si sentivano addosso: sembra che questa atmosfera riaccenda le energie.

I mas, i casolari di cemento e pietra tipici della Provenza son rosati nell’ora che prepara il tramonto. Sembrano gemme sparpagliate sul tavolo di un orefice che deve farne gioielli da incastonare nello smalto brillante del verde dei campi. Il Rodano ora turchino, ora verde, secondo le sponde che vi si specchiano, pare un nastro che circondi e impacchetti un dono prezioso: una terra benedetta dalla luce.

Deve essersi svegliato di buon umore il Creatore il giorno che ha deciso questa terra.

…Sarà terra di poeti, musici e pittori, gli sarà venuto in mente dopo aver ammirato l’opera sua!…

Forse è per questo che ha deciso di creare l’uomo un po’ pazzoide, l’unico in grado di cogliere la sconvolgente bellezza del creato e capace di raccontarla ai sani di mente che in verità sono i suoi esemplari meno riusciti: noiosi, prevedibili, così limitati… fatti a macchina da tanti che ce ne sono.

 

Da queste parti sistemerò i gitani, avrà aggiunto il Creatore, che farò allegri, poco puliti perché troppa igiene non fa bene, magari un po’ canaglie: sarà una macchia di colore acceso che metterà allegria. Suoneranno, canteranno e balleranno musiche struggenti, trascinanti e sensuali… che gli uomini posso mica farli tutti io!… Vivranno alla giornata così insegneranno agli altri la speranza e la provvidenza.

Leggeranno la mano e faran le carte, venderanno sogni ed imbrogli perché l’uomo lo voglio tenere nell’incertezza, altrimenti si monta la testa.

Si deve essere divertito un mondo a crear tutto e il contrario di tutto; d’altra parte era solo, che poteva fare per impegnare la giornata!

 

Ci viene in mente, guardandoci intorno, la luce dei quadri di Van Gogh, che certo non era a posto di mente, e Cézanne nativo di Aix en Provence, anche lui un po’ scosso; è la loro, la luce della Provenza: essi sono stati sensibili fotografi, non hanno fatto altro che dipingere la realtà nella quale erano immersi. Sono stati folgorati da questa luce, ecco perché non avevano la testa a partito, ma il cuore e la sensibilità, sì ,che l’avevano a posto.

Impero del sole definiva Mistral, altro che non stava troppo bene, la sua terra, la sua pianura, la sua Crau di cui noi abbiamo sentito solo l’odore. Pazzoidi costoro, quanto meno stravaganti, sopra le righe con le loro intuizioni.

 

Pericolosi agitatori nel piattume consolatorio di una umanità che non sa leggere il libro dell’universo seguendone la punteggiatura.

 

Il Creatore ha scritto grammaticalmente corretto. Ha messo punti e virgole, segni di esclamazione e di interrogazione, puntini sospensivi. Maiuscole, virgolette e minuscole e due punti… a iosa….

Si legge a sospiro la vita e la natura, respirando a ritmo quando serve, fermandosi quando serve, interrogandosi e stupendosi per il tempo che serve.

Il libro dell’universo è testo sacro, non verbale di assemblea condominiale. Leggere è musica, è entrare nel ritmo dell’autore e lasciarsi portare da lui che guida. È ballare con un partner ideale senza pestarsi i piedi e scoprirsi ballerini da sala.

 

Mi piacerebbe vivere qui, mangiar acciughe marinate nel sale, schiacciate nel pane, bere bicchieri di sole che splende nel maggio in fiore... come scrive Mistral.

 

Non possiamo visitare Arles: non c’è tempo e ci dispiace.

Via, via veloci verso Nimes e poi giù a Montpelier dove puntiamo verso la costa.

Ci muoviamo in un dedalo di canali, lagune e stagni. Vediamo ogni tipo di uccelli pigramente intenti a pescare, mucche al pascolo, cavalli in libertà. È tutto piatto il territorio intorno a noi e lingue di terra entrano ed escono dal mare… Ci sembra di essere nella laguna veneta… Cielo! Che si sia sbagliata strada! Fabio, Gin giretta!

 

Carnòn, leggiamo su un cartello: basta. Questa giornata verso Santiago deve finire qui. Non ce la facciamo più. Non vogliamo nemmeno sapere quanti chilometri abbiamo fatto.

 

Carnòn è una sorta di porto canale, vediamo acqua dappertutto. Non riusciamo ancora a capire come si svolga la cittadina e non ce ne importa niente.

Fermiamoci nel primo albergo che troviamo, dice qualcuno, e speriamo di trovar posto! Santiago provvederà!… esclama Fabio che, se fosse per lui, non ci saremmo fermati mai!

Santiago provvede. Carnòn è molto animata, siamo in estate, ciò nonostante troviamo subito le ultime due camere disponibili nel primo albergo che incontriamo.

Al grido di “la doccia è mia” ci precipitiamo in camera. Non è granché è vero, c’è pure un’altra porta in camera nostra che da sul giardino interno… e non si chiude: fa niente, bisogna aver fiducia.

Marella - dico io - non camminare a piedi scalzi, temo che sulla moquette girino acari grossi come aragoste… posto che sian acari!

Marella - proseguo - non ti venga in mente di cincischiarti nel bagno.

Tocca poco in giro, che è meglio…

C’è certamente qualcosa d’altro che devo raccomandare alla faccia della fiducia, ma son troppo stanca. Stesa sul letto mi addormento di schianto: “solo cinque minuti di relax” faccio in tempo a pensare!

Mi sveglio definitivamente, solo al tavolo del ristorante. Siamo in riva al mare. Il porticciolo di Carnòn è tutto un movimento di gente che si sposta da una sponda all’altra di un canale interno su imbarcazioni illuminate da piccole lampadine.

La luce del giorno che di botto è andata a riposare è sostituita dall’illuminazione stradale, dalle luci delle case, dalle candele accese sui tavoli dei ristoranti. Sembra Natale! E come sulla tavola di Natale vediamo nel ristorante vassoi di frutti di mare artisticamente composti in veri e propri trionfi di vongole, cozze, ostriche, gamberi, granseole, lumache di mare posati su una strato di ghiaccio, circondati da limoni profumati… frutti di mare e pesci tutti rigorosamente crudi.

Non vorrete mangiare i molluschi crudi! si preoccupa Annarosa, cogliendo il nostro sguardo concupiscente posarsi su tanto bendidio.

Vogliamo mangiare tutto quello che c’è e rigorosamente crudo, come si usa qui; anche questo è un modo di viaggiare, lo faremo a scopo culturale… dico io parlando anche per quelli che nel gruppo amano questo genere di cibo.

Ma il tifo!...Il colera, la salmonella... ammonisce Annarosa.

Il tifo lo facciamo Ottavia ed io per il bastimento carico carico che ci han posto davanti a mo’ di centro tavola. Bateau che scarichiamo come camalli del suo delizioso carico lasciando sul ghiaccio un mare di conchiglie vuote!

Per sicurezza disinfettiamo lo stomaco da possibili batteri di salmonella tiphi col bianco di Provenza e decidiamo di annegare il batterio - non si sa mai - con un bicchiere di Moscato di Frontignan, vino tante volte incontrato pubblicizzato sulla strada che ci sembra di conoscerlo da sempre.

Marella si ricorda improvvisamente che deve raccogliere conchiglie per un suo compito di scienze e pretende di portarne via un po’ dal bateau desolatamente vuoto lasciato in tavola. Naturalmente dovrò tenerle io nella borsa.

È notte fatta quando rientriamo in albergo camminando sulla vasta spiaggia. Le stelle tremano lucenti sul velluto nero del cielo. Il mare si rovescia calmo sull’arenile.

Non riusciamo a resistere alla tentazione di togliere le scarpe e prendere per il bagnasciuga facendoci lambire i piedi dall’acqua di mare, dapprima con quel leggero brivido che ti fa scostare, poi lasciandoci dolcemente massaggiare...

È vero, al mare si torna tutti un po’ bambini...

Mettiamo a letto le conchiglie ponendole nel lavandino del bagno in poche dita d’acqua e andiamo a dormire anche noi.