Un altro punto di vista
Musco è un piccolo paese del centro Sud, caldo d’estate e
freddo d’inverno. La gente non sta male, chi non se la passava bene è emigrato
parecchi anni fa, ancora oggi qualche giovane migra al nord, la popolazione è
mediamente vecchiotta ma generalmente gode di ottima
salute. Le autorità del paese sono il sindaco, il parroco, il medico, il
maresciallo dei carabinieri della locale caserma.
In ogni paesino c’è lo scemo del villaggio ed anche Musco non fa eccezione.
Il rappresentante locale della categoria è Giacomo
detto l’Inguacchio, o forse sarebbe meglio dire lo
era, dato che da quel viaggio a Lourdes, nessuno lo ritiene più tale. Ora tutti
lo rispettano, è finito anche sul giornale e pare che andrà in televisione:
Tele sud di Napoli.
La cosa strana è che al pellegrinaggio di Pasqua lui
non c’era, erano andati quelli del gruppo parrocchiale, il sindaco ed anche il
maresciallo Caccia con la moglie ed una cinquantina di altri paesani. In tutto un’ottantina di anime. Leader della spedizione il
parroco Don Alfonso Martusciello.
Al loro ritorno, si è sparsa la voce che “l’Inguacchio non era affatto uno scemo. Sicuramente strano,
ma non scemo…”.
Di Giacomo si sa solo chi fu la madre, Elena,
Ci sono luoghi metafisici in cui solo Uno può restare.
Fu così che quando nacque Giacomo, Elena morì, all’età di 16 anni, poco dopo il
parto, e le sue ultime parole furono: “Ciao piccolo mio, la mamma deve
andare”.
Il dottor Mosca le ricordava bene, infatti
fu proprio lui a far nascere Giacomo, ma la gioia di quell’evento
si mischiò al dispiacere di non aver potuto salvare Elena la bella.
Giacomo fu svezzato dalla nonna Maria, madre di Elena,
una donna strana, non molto a posto di testa.
Maria era sola e viveva col caritatevole appoggio
delle suore Sacro Cuore di Gesù. Queste si curavano anche di Giacomo e
dovettero tirarlo su loro quando Maria morì
improvvisamente d’infarto.
Giacomino crebbe entro le mura del convento. Suo unico
riferimento suor Teresa, una suora madre a tutti gli effetti anche se questo
ruolo la imbarazzava un po’.
L’orfanello palesò da subito un certo numero di
stranezze: parlava da solo, non legava con gli altri bambini, a scuola eseguiva
bene i compiti scritti ma faceva scena muta nelle
interrogazioni. La sua dote migliore era il disegno artistico, si potrebbe dire
che era il suo modo di comunicare con gli altri. Sapeva parlare
ma sembrava che le parole non fossero adatte ad esprimere quello che
pensava; quando ci provava, iniziava una frase molto lentamente e a voce bassa,
a metà cominciava a ciondolare la testa, e le labbra si muovevano ma la voce si
affievoliva in un bisbiglio fino al silenzio totale.
Passò mesi a scrivere con la punta di un bastone sulla
terra battuta del cortile del convento, dopodiché scoperse i gessi bianchi.
Iniziò allora a scrivere ovunque: sul marciapiede, sul muro, sui pali della
luce, sulle pareti del refettorio. Disegnava volti di donna, uccelli in volo,
alberi, cavalli alati, cavalli senza ali ed altro ancora. Più disegnava, meno
parlava.
Quella volta che Gino gli tirò un pugno per fare lo
spaccone, Giacomo non si fece vedere per qualche giorno, poi cominciarono ad
apparire sui muri disegni come vignette che raffiguravano Gino in pose
ridicole. La cosa andò avanti per molti giorni, ogni giorno una nuova vignetta.
Le caricature erano così ben riuscite che molti ragazzi, anche quelli della sua
stessa cricca, cominciarono a canzonare Gino. Vignette
e canzonature terminarono quando quest’ultimo, al
cospetto di tutti, chiese scusa a Giacomo. Il giorno dopo apparve una vignetta
che ritraeva Gino e Giacomo su un bellissimo cavallo alato in mezzo alle
nuvole. E fu così che Giacomo si guadagnò il rispetto dei compagni.
Fin da piccolo, quando si sentiva triste, si rifugiava
sulle vecchie impalcature del pilone centrale giù in vallata. Il pilone, non
finito, alto una trentina di metri, era cinto da una impalcatura
in ferro su cui lui andava a giocare. Qui aveva trovato dei bidoncini di
tempere industriali lasciate dall’impresa e con queste aveva riempito di disegni quasi tutto il pilone. Qui dava vita ai suoi
desideri, disegnava i volti delle ragazzine che gli piacevano e tutto ciò che
gli passava per
Ecco perché lo chiamarono “Inguacchio”,
per questa sua mania di disegnare su tutto.
Giacomo ancora oggi vive dalle suore, ha vent’anni, e
quasi tutti i suoi coetanei sono a militare.
Le suore gli danno da fare
qualche servizio e poi, appena libero, va in giro tutto il giorno da solo con
la sua inseparabile bicicletta.
Ma che cosa era accaduto in quel pellegrinaggio a
Lourdes? Perchè al rientro dal viaggio, la gente cambiò drasticamente opinione
su Giacomo?
Già qualche mese prima del
pellegrinaggio, lo si vedeva aggirarsi per il paese, sulla bicicletta, alla
quale aveva attaccato dietro un carrellino su cui portava un paio di bidoncini
di tempera e alcuni pennelli.
Vagava come in cerca di un punto preciso; ad
un tratto si fermava come se lo avesse trovato e, disceso dalla bicicletta,
iniziava a consultare un foglio con piglio da geometra; con l’indice seguiva
strane traiettorie aeree fino a determinare un punto sul quale avanzare,
arrivato li, con un gesso tracciava delle lunghe linee che andavano da una
parte all’altra della strada fino a salire sul muro per poi discendere,
riattraversare la strada più in là e ritornare al punto di partenza, infine,
con il pennello intinto di tempera ne riempiva i contorni.
Giacomo ne aveva fatte tante di stranezze e la gente
si era abituata a tollerarle, era sopraggiunta una specie di assuefazione. Ne
rimanevano colpite solo le persone venute da fuori. invece
per gli abitanti di Musco era una cosa normale,
normale che Giacomo-Inguacchio fosse “in giro a fare
qualcosa di strano”.
Anche questa volta la nuova impresa di Giacomo passava
quasi inosservata ai più, tranne a coloro che, nei pressi della propria
abitazione, si ritrovavano enormi strisce di pittura bianca.
Qualcuno, infastidito, era stato dal sindaco a
protestare. Proteste che cadevano nel vuoto. In fondo Giacomo era un po’ il
figlio della comunità, “un povero orfanello che dalla vita non aveva avuto
nulla”.
In quella primavera calda e assolata, gli inguacchi di Giacomo non potevano fare notizia più
dell’altro grande evento: il pellegrinaggio a Lourdes.
Un viaggio che si stava organizzando in parrocchia,
tanto più straordinario perchè il mezzo di trasporto non sarebbe stato il
solito convenzionale pulman, bensì l’aeroplano. In un
paesino di trecentocinquanta abitanti, circa ottanta sarebbero partiti. Per più
di cinquanta di loro si trattava del primo volo.
Non vi era una sola famiglia che non avesse un partecipante all’avventura mistica.
L’atmosfera era carica ed eccitata e un gran fermento
correva per il paese. Al bar, in farmacia, nella sala d’attesa del medico,
ovunque due o più persone si trovassero, l’argomento era il pellegrinaggio a
Lourdes, annessi e connessi.
Una sera in parrocchia, don Alfonso aveva riunito
tutti i partecipanti, ammaestrandoli circa i vari significati di questo
viaggio, trattando gli aspetti ultraterreni ma anche quelli pratici. Alla fine,
mentre la gente se ne stava andando, entrò Giacomo ed avvicinatosi a Don
Alfonso disse: “Posso venire anche io? Posso venire? vorrei
vedere
“Dai vai a dormire” disse Don Alfonso mentre
chiudeva la vecchia porta della canonica “La prossima volta troveremo i
soldi per portare anche te, e non fare arrabbiare suor Teresa”.
La mattina dopo, la piazzetta era tutta piena delle
solite strane strisce di tempera bianca. In un angolo il sindaco ed il Parroco
commentavano “ Caro Don Alfonso, questo è un dispetto perché non lo
portiamo, io ci ho pensato, ho chiamato l’agenzia, ma non è possibile, sarà per
la prossima volta, e poi per gl’inguacchi non c’è
problema, la prima pioggia porterà via tutto”.
Quando il pomeriggio suor Teresa lo trovò, Giacomo
stava nel giardino del convento, in ginocchio davanti alla statua della
madonna. Spesso ci passava le ore in contemplazione. Da piccolo gli avevano
detto che
“ Giacomo devi smetterla di inguacchiare
tutto il paese, altrimenti ti fanno arrestare dal Maresciallo, e poi la mamma
in cielo si arrabbia, vuoi fare arrabbiare la mamma? Allora fai il bravo
ragazzo, e adesso fai una preghierina alla Madonna
che fa piovere, così si pulisce tutto e ci rinfreschiamo pure…” .
Un gran traffico mai visto in farmacia, un viavai di
gente a prendere pastiglie per la nausea da aereo, pastiglie per l’ansia,
purghe per il cambiamento d’aria. Il motivo religioso era passato in secondo
piano, per molti era il viaggio della vita: gente che al massimo era stata in
gita a Roma con il pulman, ora doveva affrontare un
espatrio e per di più in aeroplano.
La moglie del Maresciallo che veniva dal Nord e aveva
viaggiato molto, era la massima autorità del momento. Senza farsi molto
pregare, elargiva consigli e raccomandazioni a chiunque.
Venne pure Pasquale a chiedere consiglio per un
viaggio in treno, a Foggia, per un matrimonio.
Una mattina qualcuno disse di aver visto Giacomo
scendere da un tetto che aveva inguacchiato di
tempera bianca durante la notte.
Erano notti di luna quasi piena e gli avvistamenti si
susseguirono. Qualcuno, allarmato da una simile e pericolosa impresa, provò ad
avvisare il Maresciallo, ma tutto cadeva come sempre nel vuoto, le migliori
energie erano spese nella preparazione del pellegrinaggio a Lourdes, null’altro
poteva spostare l’asse dell’attenzione, neppure il passaggio del giro d’Italia nella vicina Avellino.
Finalmente giunse il fatidico giorno della partenza.
Qualche raggio di primo sole cominciava a rischiarare la piazza della chiesa;
la saracinesca del Bar centrale si alzava con fragore e da ogni vicolo i primi
viaggiatori spuntavano con valigie, borse e pacchettini.
Il Maresciallo con la moglie arrivarono tra i primi,
consapevoli del loro ruolo di guide. Ma il capo incontrastato era il corposo
Don Alfonso che comparve nella piazza impugnando un megafono. Nel freschino del mattino lui era già sudato.
Arrivato il pulman tutti
ordinatamente salirono.
Dal centro del corridoio Don Alfonso cominciò la conta
col gracchiante megafono.
Fu a questo punto che Giacomo salì.
Ci volle tutta la pazienza della moglie del
maresciallo per convincerlo a scendere; lei continuava a ripetere che la
prossima volta lo avrebbero portato, e lui continuava a ripetere che voleva
vedere
Alla fine Giacomo scese, con la testa bassa, salì sulla sua bicicletta
e mentre lui imboccava un vicolo, il pullman sparì dietro gli alberi della via
centrale, direzione il vicino aeroporto militare, che sporadicamente serviva
d’appoggio anche per piccoli aerei civili.
Tensione, eccitazione, euforia. In questa sarabanda
emotiva, il gruppo si era imbarcato sul volo diretto per Lourdes, Don Alfonso
per distrarre i più ansiosi cominciò a raccontare che appena decollati,
sarebbero passati su Musco, così bassi che avrebbero
potuto distinguere anche i tetti delle proprie case. Allacciate le cinture,
l’aereo con i motori al massimo, in un rombo assordante, decollò.
Un quarto della popolazione di Musco
si trovava in cielo, capeggiato dal suo parroco e sorretto dalle massime
autorità del paese.“Tra poco saremo su Musco, chi
ha la macchina fotografica si prepari”. I più fortunati erano quelli vicino
al finestrino, col naso appiccicato al vetro, gli altri si sporgevano. Tutti
cercavano di scorgere punti noti per orientarsi.
“Ecco, guardate, la dietro quella collina vedremo Musco, eccolo, si vede il campanile” un “oohhhh” scaturì
dal gruppo degli argonauti, poi la voce del Maresciallo: “Sì, sì è proprio Musco, guardate, si vedono tutti gl’inguacchi
di Giacomo. E’ incredibile quello che ha combinato”, e la moglie:“Chissà se con la pioggia andrà via”.
Così dicendo, l’aereo si avvicinava sempre più sul
centro del paesino e gl’inguacchi diventavano sempre
più evidenti.
Poi, piano piano,
cominciarono ad allinearsi tra una strada ed un tetto ed ancora un cortile.
Quanto più a perpendicolo l’aereo arrivava, sembrava
che tutti quegli inguacchi formassero uno strano
disegno, il garbuglio caotico di linee svaniva per allacciarsi in un'unica
gigantesca composizione, ad un tratto….tutti la videro.
Un immenso volto era stato dipinto e lo si vedeva solo dall’alto del cielo, un immenso volto di
donna, una donna bellissima e sorridente, il volto della Madonnina delle suore
di Musco, quella Madonnina che dicevano assomigliasse
ad Elena, la mamma di Giacomo.
Tutti sull’aereo rimasero senza fiato, non potevano
credere ai loro occhi, nessuno si capacitava che lo scemo del villaggio avesse
potuto creare un’opera del genere.
Don Alfonso, istintivamente, si fece un segno della
croce e tutti gli altri lo seguirono.
L’aereo rimpicciolì all’orizzonte e tramontò dietro le
colline, destinazione Lourdes.
Laggiù, sdraiato a terra nella piazzetta della chiesa,
adagiato tra i segni che formavano l’occhio destro della madre, stava Giacomo
in bilico sulla ciglia, come una piccola lacrima.