Caffé Mozart di Rosso Passione

 

Roberta Garavaglia

 

 

Oggi ho deciso di indossare un paio di alucce e viaggiare. Perché come disse Alda, un uomo può volare pur stando seduto.

Un atlante geografico sottobraccio e cammino a due metri da terra fino al rosso dello stipite della porta d'ingresso del “Caffé Mozart”, che scampanella quando il mio piede si poggia sul parquet.

Oggi vedo un mondo a pois rossi.

Rosso delle stelle di Natale che si affacciano alla vetrina.

Rosso delle poltrone in pelle disposte in tanti cerchi attorno ai tavolini del grande salone.

Rosso del cappello del motociclista che esce or ora, spinto da una ragazza minuta dai neri capelli corti, tirata da un nervoso cane elegante.

Rosso degli orecchini pendenti della vecchina magrolina che “puó accomodarsi accanto a lei, signorina?”, “certo”; intanto un cane dal pelo liscio e lucido s'infila fulmineo sotto al tavolo, per accucciarsi silenzioso tra le sue scarpe usurate, il guinzaglio sciolto.

Rosso della striscia di maglietta che la giacca di pelle slacciata lascia intravedere, di un giovane che con un colpo di punta di piede apre la porta, una pila di libri in braccio, un bambino che lo insegue, si guarda attorno veloce con occhi fuori dalle orbite dietro lenti trasperenti sottili, tira dritto verso il bancone sfiorando il pancione di una ragazza incinta che tiene per mano il suo sposo novello; abbandona i libri e si gira di nuovo diretto alla porta, mi guarda e mi sorride, o forse pensa nel frattempo ai suoi regali di Natale, non focalizzato sulla mia immagine, o a una stupida canzone che risale la sua mente. Sorrisi momentanei incrociati aprono prospettive su nuove vite, porte su nuovi mondi, ció che è sconosciuto sembra la cosa piú interessante del mondo- sconosciuto sorprendente emozionante interessante. Ma dov'è ora il giovane dei libri col bambino che lo segue?

Cucchiaini tintinnano contro i bordi di tazzine che scontrano tavoli.

Voci cantilenanti e risate giovani.

La macchina del caffè. Questa musica accompagna il mio flusso concentrato di impressioni.

Disegno cerchi rossi e traccio linee sulle pagine nuove del mio atlante geografico. Immagino nomi di cittá che si trasformano in persone che si osservano sulla metropolitana e che la sera passeggiano per le strade allegre di birra.

Vedo case grattacieli chiese che in scala 1:1 fuoriescono dalla carta politica del mondo.

Col “viaggiare” ho sempre avuto problemi. Perché un viaggio è un viaje, ma il to travel inglese non riesco proprio ad associarlo al suo sinonimo straniero voyager, mi rimanda piuttosto al piú simile travaller ma non mi sembra che i due significati vadano a braccetto. In tedesco, che io viaggio volentieri, suona diversamente da tutte le altre lingue- ich reise gern; il resa svedese si avvicina a quest'ultima piú che all'inglese, entrambi distanti dall'antico profondo metaforico iter latino e da innumerevoli altre lingue che non conosco ma vorrei.

Praga. Rosso e nero è lo zaino di M. tra i miei piedi e i suoi su quella panchina, quella mattina, mentre le luci dei lampioni si confondevano nel chiarore dell'alba assolata in una cittá ancora sconosciuta.

Una notte in treno un caffé bollente della stazione, zero aspettative zero paura, tutto nuovo, mille immagini con cui riempire gli occhi e esperienze da condividere con me e con chi ancora non ho incontrato.

A volte slanci impulsivi vincono razionalitá e inibizione, non un secondo di riflessione, le mie ginocchia agiscono secondo desideri ancora sotto superficie e aumantano il passo verso uno zaino rosso e nero, che quindi si posa tra di noi e biscotti si offrono una mappa si apre- tra conversazione stentata e gesticolare fluente e risate per autoosservazione e confusione e autoimitazione caricaturata e valige da trasportare, sostegno complice e divertito.

Col senno di poi questo incontro si chiama fortuna. O “amicizia”.

Ride. Rosso sulle guance, negli occhi.

Cerca di esprimersi ma le parole si sono perse nell'aria insieme all'erba appena fumata, allora ride e ride e si spettina i capelli e controlla se nel fondo del suo bicchiere è rimasto del vino, mentre attorno a lui si costruiscono storie di folletti arancioni che pesano come fili di lana.

Un dí di siesta in riva al fiume sento un trillo sul mio telefonino. Una busta lampeggia sul display illuminato: leggi? Accetto, anche se essendo impegnata con me stessa non gradisco interruzioni. “Stanotte mi hai visitato in sogno .)”

Non ci credo, una stanza del cervello si spalanca improvvisamente, un'eco di sogno, una coda di sensazioni, anch'io l'ho incontrato stanotte! Incroci di desideri e sensibilitá e vicinanza, quella vicinanza che non ha nulla a che fare con la passione ma non la si puó ancora chiamare amicizia, è sintonia, simpatia silenziosa che vincerebbe qualsiasi lontananza geografica cristallizzando un profondo senso di unione anche a mezzo continente di distanza.

Pigio “rispondi” e compongo “Ich hab dich Lieb”. Vorrei trasmettergli con ogni linea di ogni lettera di ogni parola quello che provo quando i suoi occhi azzurri guardano nei miei e il suo discorso si incanta e rallenta, quando ascoltiamo la musica che riempie la stanza e sincronizzati dondoliamo la testa, quando mi bacia sui capelli e ci abbracciamo per tre minuti e lui sa che io sorrido dietro la sua spalla.

Finché... M. si incastra nel sedile posteriore con giacca e sciarpa tra la portiera e lo zaino che ho visto il primo giorno alla stessa ora di questo addio. L'auto se ne va con un colpo di acceleratore, distinguo ancora la sciarpa bianca e nera dal finestrino. I suoi sorrisi alcoolici mi donano una notte dolceamara dove possibilitá future si mescolano a passato e oggi. Ci daremo appuntamento in qualche altro punto della superficie di questo mondo su un'altra macchina che corre, spezzando grissini e stonando musica rock.

Mi verso del té e una zolletta di zucchero- medicine contro le momentanee allucinazioni, lo scorrimento di fette di vita immaginata e vissuta accavallati in un cervello oppresso, quando lacrime improvvise sincere inattese rompono alexitimie e dubbi di insensibilitá: una molteplicitá di sorrisi e abbracci e cincin e discorsi è stata vissuta, un'altra infinita approfondita molteplicitá sarebbe stata possibile.

Rosso della sciarpina che cade dall'appendiabiti abbracciata ad un cappotto a doppiopetto come quello che indossava un tempo il mio papá, finché le spalle non hanno voluto piú stare impiccate in quelle cuciture.

Rosso dei ricci voluminosi della dama ottocentesca che prende posto al tavolino di fianco.

Rosso come la tazza offertami per quel lungo caffé della sera nella camera 203- le iniziali T.S. disegnate sul legno della porta.

Berlino. Mi sveglio nel suo letto e nel suo pigiama, le sue gambe calde incrociate alle mie, gli occhi alle pareti bianche che dopo la colazione dipingiamo di immagini di possibili futuri di proiezioni di noi stessi di desideri palpabili forse labili: di viaggio, di spostamento, di comunicare in mille lingue straniere e raccontare, lasciarsi affascinare; cos'è la religione? l'amore? la letteratura? Ammirare Marquez cercando di esserci con i cinque sensi in ogni momento, intensitá come motore di movimento. Il viaggio è una costante ubriacatura di nuove immagini e profumi; il viaggio è una inconsapevole crescita mascherata da un intenso senso di infantile stupore: sensibilitá commozione bellezza.

Poi la stanza diventa solo note di pianoforte che si perdono nel mio dormiveglia mattutino mentre lui traccia a matita le linee del mio corpo confuse con le pieghe del lenzuolo stropicciato, il suo sguardo sulle curve delle mie gambe fino alla vita e ai capelli spettinati sul cuscino a righe; mi sento infreddolita- o solo osservata?! Guardo il cielo dalla finestra scoprendo tartarughe bianche nascoste nelle nuvole, guardo le espressioni di lui che disegna una margherita fiorire tra i seni di una donna in cui non mi so specchiare...

Rosso del dolcevita della signora luminosa di fronte a me, si volta e sorride all'aria sollevando quasi impercettibilmente le sopracciglia sottili.

Rosso del colletto della camicia della donna alle sue spalle.

Rosso della sciarpa della ragazzina che imbeve un biscotto nel té fumante- accanto alla zia e al nuovo compagno cinquantenne affascinante e gesticolante.

Rosso della giacca da uomo abbandonata su una poltrona incustodita.

Rosso dell'auto che suona il clacson all'entrata del caffé.

Amsterdam. Rosso della Citroen dal motore imprecante sull'autostrada verso l'Olanda con cinque corpi stretti che saluteranno la primavera in spiaggia dormendo vicini vicini nei sacchi a pelo, dietro una barriera di ombrelloni, sotto una coperta di nuvole, fino a scoprire la luce del mattino e l'infrangersi delle onde sulle ombre della sabbia. Il mare canta, con le sue onde e schiume creatrici di combinazioni di linee infinitamente diverse.

Mi sveglio. Mi affaccio sul cielo giâ chiaro. Mi sdraio nel sole che sta sorgendomi alle spalle, davanti ad un commovente, immenso, orizzonte.

Accarezzo la sabbia e canto sottovoce. Sopra la mia testa volano aerei e donne in cappotto passeggiano con i cani che rincorrono palline da tennis e raccolgono conchiglie e annusano i miei guanti.

È primavera e io mi sveglio al mare- sono un puntino nel mondo. Sono felice e commossa; sola eppure serena. che questo paesaggio mi tocchi gli occhi e me li scaldi di lacrime, cantando “time passes slowly when you're searching for love” pur essendone giá piena. Sensibilitá. Luce, musica del mare e degli uccelli.

La primavera mi ha regalato un viaggio.

Ho pianto di commozione e di dolore.

Ho odiato e amato il pullover verde di D. che gesticola in modo enigmatico, intona frasi su una scia di accento francese su un modo di porsi raffinatamente poco chiaro a tratti volontariamente sfacciato; le barriere linguistiche causanti malinterpretazione sono triplicate la mia mimica confusa non porta le sue spiegazioni su una via di delucidazioni.

Impenetrabile ed ermetico nella sua veritá, si lascia solo abbracciare rispondendo con un sorriso inafferrabile che non scioglie peró i miei dubbi. Uno scherzo puó terminare in un malinteso; anche un malinteso può terminare in uno scherzo. La soluzione a questo confuso scambio di posizioni e intenzioni incomprese è una sigaretta da rollare.

Ho attraversato ponti. Ho osservato le camminate della gente.

Ho abbracciato. Ho riso. Ho respirato.

Ho ascoltato musica francese da un'autoradio che funziona solo a tratti, sbucciando arance da dividere, guardando nello specchietto gli occhi seri fissi sulla  strada, che ancora non vogliono esprimere un bilancio aspettative/vissuti.

Ho sognato. Ho pregato che quest'eco di stupore e commozione non vada perso sulla via del ritorno.

Un “Caffé Mozart” punteggiato di rosso, popolato da consumatori di merende e pettegolezzi.

Strade poco illuminate cariche di profumi e personaggi della domenica pomeriggio: creste punk che si incrociano e sigarette che si scambiano, coppie a braccetto che passeggiano al fianco di vetrine di ristoranti, bimbe che saltellano sul marciapiedi canticchiando a mezza voce verso la finestra di casa dove il papá è giá affacciato, profumi di frutta secca, di kebap, di prosciutto cotto che mi fa tornare la bimba seduta al tavolo di una familiare cucina dove la mamma prepara un panino col succo alla pesca per merenda e lo sniffare in sottofondo del ferro da stiro...

Fino a che non sono sola nella mia stanza dalle tendine rosse, col mio atlante da infilare nella libreria e immagini di viaggi che si sovrappongono a sogni.