Giulia Motta
Il
viaggio della Rivoluzione
Vengo
svegliata dai primi raggi del sole dell’alba: oggi è una giornata importante.
Mi
precipito nel vialetto davanti a casa mia e vedo che molti nostri vicini
scrutano dalle finestre la scena che si stava compiendo nell’abitazione della
famiglia Exupéry: alcuni uomini si sono avvicinati alla carrozza e abbracciano
e salutano mio padre. Quando tutti i suoi bagagli sono caricati sulla vettura,
lui si avvicina a mia madre, a me e a mio fratello maggiore Jacques e ci
stringe, ad uno ad uno, tra le sue possenti braccia. Quando tocca il mio turno,
mio padre, mi dice: “Non ti preoccupare, Eloise, tra meno di due mesi tornerò a casa e
senz’altro porterò una bella notizia per noi e per il paese di Bouilly!”. Così
sale sulla carrozza e parte. Il mezzo prende una strada che si addentra nel
bosco e dopo qualche istante, scompare all’ombra degli alberi.
Ormai mio
padre è andato a Parigi, per una questione piuttosto impegnativa: deve
rappresentare il ceto degli orafi, alla convocazione degli Stati Generali che
si sarebbe svolta nei primi giorni di maggio del 1789. Il re Luigi XVI ha
riunito i tre ceti della società francese per discutere dei problemi che si
stanno formando in Francia in quegli anni. Così mio padre, insieme ad altri
uomini della città, aveva ricevuto una lettera per la convocazione e da questo
momento iniziarono i preparativi per la partenza.
A me sarebbe piaciuto trascorrere un po’ di
tempo a Parigi, dove mio padre avrebbe alloggiato durante l’attesa della
convocazione, ma i miei genitori mi hanno ripetuto più volte che ho 13 anni,
sono troppo giovane, non posso
partecipare alle riunioni, come non posso neanche rimanere nell’ abitazione
tutto il giorno da sola,visto che mio padre avrebbe dovuto andare alcuni giorni
a Versailles anche per operazioni
commerciali.
Di
conseguenza, ora, devo rimanere a casa ad aiutare mia madre nelle faccende
domestiche e a svolgere alcune attività in città: andare a comprare il grano,
che in questi anni è diventato sempre più caro, portare informazioni alle
amiche di mia madre e per ultimo, partecipare alle lezioni del maestro, il
quale ci insegna a eseguire i calcoli, a parlare bene il francese e molte altre
materie. Finite le lezioni, mi incammino verso casa insieme alla mie amiche Agathe e Caroline: il
loro padre è un mercante di stoffe ed è partito insieme al mio per Parigi.
Durante il tragitto verso casa, qualche volta iniziano a litigare ed è molto
buffo sentirle discutere per fatti piuttosto banali. Quando arrivo nel giardino
di casa mia, le saluto ed mi dirigo verso la porta. Molte volte vedo mio
fratello uscire per andare alla bottega: adesso che mio padre non c’è, lui deve
occuparsi delle vendite e degli affari.
Passano
alcune settimane, i giorni sono tutti uguali, ma una mattina vedo arrivare un uomo in carrozza. Il mezzo
si ferma davanti a casa nostra e da lì scende mio padre. Dalla felicità gli
salto in braccio come una bambina
piccola e lo abbraccio forte. Lui contraccambia
e dopo avermi messo a terra, si dirige
verso casa, radunando la famiglia e dicendo che a Parigi il re ha
respinto la richiesta di votare per testa, voluta dal Terzo Stato e ha
accettato il voto per ordine, preferita dalla nobiltà e dall’alto clero. Così,
mio padre cerca di spiegarci che la
convocazione non ha risolto nessun problema della Francia e quindi ci sarebbero
state altre riunioni in seguito.
Lui, alla
fine, dice che avremmo dovuto
trasferirci tutti a Parigi, in modo da poter aprire una nuova bottega e poter
vivere tutti insieme. Io sono molto
felice, ma allo stesso tempo triste perché dovrei lasciare la città di Bouilly, gli amici e i
parenti.
Molto
velocemente prepariamo i bagagli e
partiamo per la capitale. Prima della metà di giugno arriviamo a Parigi. All’
entrata della città, mi accorgo che
è molto diversa dalla campagna che
circonda Bouilly. Le sue vie sono occupate da case e strade di terra battuta,
incontriamo molte persone che si
dirigono nelle panetterie e negli altri negozi, ma molte altre purtroppo vivono nella povertà. Vedendo quelle persone
che chiedono l’elemosina in giro per le piazze, inizio a capire che i problemi
che ci sono in Francia sono enormi e
penso che non sarebbe stato facile
risolverli. Qualche minuto dopo arriviamo alla nostra nuova casa: è una
piccola abitazione su due piani con un giardino sul retro, nel quale ci sono
alcune aiuole dove vedo meravigliosi fiori colorati cresciuti selvaggiamente.
Entrando
nell’edificio inizio a capire che quella sarebbe stata la mia casa solo per qualche
anno. Mi diressi nel piano superiore ed
entro in una camera con due letti singoli: quella sarebbe stata la stanza mia e
di Jacques. Finito di sistemare la casa, vorrei subito conoscere
Parigi, così io e mio fratello decidiamo di andare a fare un giretto per
le strade vicino a casa.
Davanti ad
una panetteria, vedo una ragazza con due
lunghe trecce bionde che parla con il panettiere e intanto è seduta all’entrata
del negozio, e sta raccogliendo un fiore. Mi avvicino a lei e le chiedo: “E’ tuo
padre il panettiere?”. Lei, alza la testa dal fiore e mi guarda: “Sì, mi ha
detto di rimanere qui ad aspettarlo”.
Così, ci presentiamo e iniziamo la
nostra conversazione, restiamo insieme
per tutto il pomeriggio, fino a quando mia madre non viene a chiamarmi
chiedendomi di rientrare in casa. Alla sera ripensando a quello che mi aveva
raccontato Julie, iniziai ad immaginare
che non mi sarei trovata bene a Parigi perché lei me ne aveva parlato
come un luogo da cui scappare. Julie mi
parlava di come molte persone iniziavano a protestare sul prezzo del pane, che
aumentava sempre di più sia a causa
delle carestie e delle epidemie. In più questa nuova amica mi raccontò che il
Re aveva imposto le tasse solo al popolo, mettendo in miseria una grande quantità
di persone. Incominciai a pensare a un metodo per migliorare la situazione e
con questi pensieri in testa mi addormentai …
Trascorsi
alcuni anni ….
Era una
calda giornata di fine estate e me ne stavo seduta nel giardino di casa mia in
compagnia di Julie, di suo fratello Benjamin e di Jacques. Ormai con loro eravamo diventati
grandi amici e passavamo la maggior parte del nostro tempo libero insieme, a
parlare delle varie scene che accadevano a Parigi in questi giorni: ormai
eravamo nel 1791 e la monarchia assoluta era del tutto distrutta. I parigini
avevano preso l’antico carcere per
prigionieri politici: la Bastiglia.
Nell’agosto del 1789 i diritti feudali furono aboliti e il re fu
obbligato a soggiornare a Parigi nel Palazzo delle Tuileries. In questi giorni
la Costituzione stava per essere conclusa e l’antico regime si sarebbe abbattuto
per sempre. Insieme decidemmo di uscire dalla casa, per fare una passeggiata e
così ci incamminammo per le vie di Parigi. Mentre attraversavamo una via
occupata per lo più da botteghe di fabbri, di orafi e negozi di carne e di pesce mi ricordai che mio padre aveva chiesto a
Jacques di comprare alcuni ferri di cavallo, così glielo rammentai e insieme ai
nostri amici entrammo nella bottega di un maniscalco. Nel negozio c’erano
diverse persone che aspettavano il loro turno e così ci mettemmo dietro ad
alcuni signori. Questi iniziarono a parlare e senza volerlo, li ascoltai:
“
Buongiorno, è venuto per comprare delle inferiate per il vostro giardino,
l’ultima volta che l’ho visto, non era in buono stato!” disse il primo uomo
ridendo. L’altro un po’ offeso rispose: “No, volevo comprare una nuova forca,
perché in questi tempi bisogna stare all’erta!”. Continuando un po’ il discorso
il primo informò l’altro che i monarchi prussiani e austriaci non tolleravano
molto questo movimento rivoluzionario nato in Francia e volevano dichiarare
guerra al nostro Stato. Quando seppi questa notizia quasi sbiancai: questo
potrebbe essere soltanto un pettegolezzo, ma se fosse diventato realtà, non
avrei resistito molto qui a Parigi. Quando arrivò il nostro turno, comprammo i
ferri di cavallo e ritornammo a casa.
Qualche
istante dopo entrò in casa mio padre che ci riferì un fatto a cui aveva
assistito: mentre era in una taverna a parlare con altri bottegai,
improvvisamente entrarono due uomini che misero un annuncio sul bancone della
taverna. Il padrone disse che si cercavano soldati volontari per alcune delle
tante battaglie che si sarebbero svolte a Parigi e per tutto il resto della
Francia. Mia madre ascoltava attentamente ed io capii che era impaurita e che
non era molto felice della guerra.
Qualche
giorno dopo mio padre prese una decisione: io e Jacques, saremmo partiti per
Bouilly, dai nostri parenti e amici, per essere al riparo dalla guerra di
Parigi. Mentre ci spiegavano il nostro viaggio i nostri genitori ci fecero una
sorpresa che ci avrebbe tirato su il morale: insieme a noi, verranno a Bouilly,
Julie e Benjamin, che sarebbero rimasti con noi, fino a quando la guerra
sarebbe finita.
Alcuni
mesi dopo …
Stava
nevicando, pensavamo che non sarebbe successo, ma era proprio così. Era
arrivato il momento di lasciare Parigi. Insieme ai nostri amici, salimmo sulla
carrozza e salutammo i nostri genitori. Dai miei occhi uscivano lacrime salate,
perché sapevo che forse i miei genitori non li avrei visti mai più. Julie cercò
di consolarmi , ma anche lei piangeva. Lasciammo Parigi tristi e incapaci di
sognare un destino migliore. Mentre eravamo in viaggio verso Bouilly, iniziò a
scomparire la luce del sole e a sbucare la luna. Così ci fermammo per la notte:
durante la breve cena, nessuno parlò e così tutti poco dopo ci addormentammo.
Il giorno seguente ci svegliammo all’alba e ci avviammo verso un paesino chiamato
Melun, per fare scorte d’acqua. Mentre io e Julie eravamo a un pozzo, vicino ad
esso, c’era un piccolo gattino bianco che miagolava. Mi avvicinai a lui e mi
accorsi che aveva una spina conficcata nella coda, con un po’ di acqua e buona
pazienza gliela estrassi e così iniziò a fare le fusa. Quel gatto sembrava molto affezionato a me e a
Julie, perciò lo portammo a Jacques e Benjamin, che un po’ stupiti e
contrariati, non volevano portare l’ animale
durante il viaggio. Supplicai loro che il gatto sarebbe rimasto nelle
braccia di Julie e nelle mie per tutto il percorso e poco dopo ripartimmo. Un paio di giorni dopo
arrivammo in una locanda e dopo aver
pagato, il padrone ci diede due camere. Mentre cenavamo, quella sera, sentimmo
alcuni rumori provenire da fuori l’alloggio. Impauriti ci dirigemmo nelle
nostre camere e guardammo lo spettacolo dalla finestra: parecchi uomini
marciavano a cavallo, armati di spade e pistole, mentre altri camminavano per
il sentiero sparando a qualunque oggetto trovassero davanti a loro.
Capimmo
immediatamente che erano i soldati nemici, così cercammo di andare a dormire
presto in modo da ripartire velocemente il giorno seguente. Allo spuntare del
sole lasciammo la locanda e procedemmo verso
Bouilly. Durante il percorso oltrepassammo un ponte insicuro e arrivammo
in una cittadina diroccata e in fiamme: era stata assaltata dall’esercito che
avevamo adocchiato la sera precedente. Mentre attraversavamo quel luogo
sentimmo delle grida soffocate, inseguimmo con l’orecchio le urla e sentimmo la
voce di un bambino, che cercava di salvarsi dal fuoco. Benjamin e Jacques
entrarono nell’edificio e alcuni momenti dopo uscirono con il bimbo tra le
braccia: era una bambina che aveva più o meno otto o nove anni, con i capelli
castani chiaro un po’ bruciati e due enormi occhi verdi. Le chiedemmo il suo
nome ma improvvisamente svenne. Così la portammo nella nostra vettura e le
bagnammo la fronte con dell’acqua, in modo da rinfrescarla e da pulirle il
viso. Decidemmo di ripartire immediatamente e di portare con noi la fanciulla,
che poco dopo si svegliò e con poche e semplici parole disse di chiamarsi Ondine e che la sua città era stata
bruciata dall’esercito austriaco perché i cittadini non volevano farli
passare.
Quando arrivò la notte la bambina si
addormentò e decidemmo cosa fare: alla fine stabilimmo che la ragazzina sarebbe
rimasta con noi. Intanto mancavano
alcuni giorni per arrivare a Bouilly e
durante il tragitto si era formata una bella compagnia: quattro ragazzi
adolescenti, una bambina e un gatto molto giocherellone. Ogni giorno si giocava
e si parlava allegramente: quando bisognava cenare, si scherzava e si mangiava
davanti al fuoco, che rimaneva acceso fino allo spuntare della luna.
Un giorno percorrendo un sentiero
sterrato, uscendo da un bosco, ci accorgemmo che eravamo arrivati a Bouilly.
Finalmente ce l’avevamo fatta! Ci
avviammo alla nostra vecchia casa che era rimasta ancora come alcuni anni fa:
il giardino, le stanze. Ci dirigemmo dai nostri amici e parenti: io feci
conoscere a Julie, Agathe e Caroline, che furono contente
di rivedermi. Mio fratello e Benjamin riaprirono pian piano la vecchia bottega
e così ritornammo alla vita di un tempo.
Un paio di anni più tardi ….
Mentre facevo il bucato, iniziarono a suonare le
campane. La dittatura era finita! Mio padre e mia madre erano ritornati a casa da qualche mese e Ondine
stava diventando grande. Ormai la pace era ritornata in tutta la Francia e non
c’era più bisogno di viaggiare e di scappare. E’ stato un lungo percorso fra
paure e tristezze, ma ora dovevo affrontarne un altro: quello dell’amore e
della felicità…