Annalisa Giunti
Tutti al mare!
E’ un venerdì sera di metà giugno, che promette l'arrivo
dell'estate con il suo caldo africano, tanto annunciato dai meteo alla tv, come
fosse un grande ritorno di un big scomparso da tempo. Arriverà, lo dicono tutti.
La valigia è pronta, ho preso quella media, per due giorni ci
sono state tutte le "prime" necessità, e dovrei
sopravvivere con poche cose.
Di solito esagero con la prima versione della valigia, poi
alleggerisco tra i sensi di colpa e il senso di vuoto e la mancanza prima
ancora di averne davvero bisogno. Almeno in questo
caso rientro nelle statistiche della donna in vacanza. Poi a guardare bene, il
peso è al solito per i troppi libri, i quaderni e le riviste, che non finisco
mai di leggere e mi porto regolarmente sempre in giro. Sono una dolce
compagnia.
Intanto che scrivo, mi
passa davanti il signor Cocco Bello, ma caspita, non
urla più! Sussurra solo poche volte la magica parola “cocco bello” e poi,
orrore, suona una specie di trombetta da bicicletta. Non ci posso credere, che
caduta di stile, che perdita di poesia.
Dov'è finito l'urlo selvaggio ma
rassicurante, con il suo accento caldo del Sud, con la sua carica di promesse
esotiche, dolci, fresche e bellissime in qualsiasi spiaggia?
Aspetto il marito, è in arrivo col
treno da Roma, di corsa a casa, cambio al volo e poi via, si riparte,
destinazione mare. E' tardi, qualcuno ancora cena,
qualcun altro già è in giro per la passeggiata in bici con destinazione
gelateria in piazza.
Piante annaffiate, gas chiuso, casa buia, preso tutto, si parte
finalmente.
Una vera fuga dalla città, il fine settimana al mare, in
Liguria, Alassio per la precisione, sorta di estensione di Magenta in riva al mare, perché è lì che si
trasferiscono tutti i concittadini, giovani e non più giovani.
Qualche giorno fa nella chiacchiera quotidiana con la mammina, ho annunciato l'idea della fuga. "Ah si? Troverai un sacco di gente, son tutti là in questo periodo".
Urka! chissà
che folla... ma ci sarà posto? ho pensato, ma poi siamo
a giugno non a Ferragosto. Senza sapere ancora che il primo weekend bello
d'estate tutti, ma proprio tutti, hanno bisogno di
fughe, di mare, e soprattutto di Liguria.
Intanto che scrivo,
una transumanza strana mi è appena passata davanti. Sono in seconda fila,
quindi in mezzo, perché qui la spiaggia è stretta e di file ce ne sono solo
tre, e un gran vociare mi ha fatto alzare gli occhi.
Un gruppone di gente
mista, una bella varietà di casistica umana, tutti vestiti e non in costume,
con zaini e borse, passa veloce. Apparsi e scomparsi
in un baleno, con questa nuvola di suoni ad accompagnarli.
Le voci ora affievolite son
coperte dal rumore delle onde, che spezzano un mare calmissimo. Mi
distraggo subito e penso a loro, alle onde, saranno quelle delle navi al largo.
Non si vedono sempre, ma quando passano lasciano le loro scie
sull'acqua, onde che scorrono flemmatiche ma implacabili, per portare il loro
saluto fino alla riva.
Partiti. Finalmente la prua, ops, no, il cofano dell'auto puntato a
ovest, poi sarà verso sud, seguendo l'autostrada. Si va, si corre, si parla tanto, seguono i racconti della settimana passata, il
lavoro e le scadenze tributarie, ma soprattutto le notizie delle famiglie, dei
nipotini lontani.
Li vedo crescere nelle foto che arrivano
sul cellulare, e io mi studio i particolari, me li imprimo a memoria come fossero poesie stupende.
Cuccioli che fanno i loro progressi giorno
dopo giorno, centimetro dopo centimetro, conquista
dopo conquista. Imparano ogni giorno e scoprono la vita.
Il pensiero che il maschietto sta esplorando le cose piccole per
noi, ma tanto grandi per lui, che noi nemmeno vediamo più, mi riempie il cuore
di gioia.
Dopo il successo di alzarsi e camminare da solo, è iniziata la
fase della grande esplorazione e della scoperta di
dove si nascondono le uvette nella dispensa, per arrivare a conoscere il gran
gioco di aprire l'acqua del bidet, lavarsi ben bene e bagnarsi insieme al resto
del bagno. Una nuova interpretazione del “facciamo il bagno”.
La new entry nella classifica, però, è la porta con la maniglia
che si può aprire, ma è ancora un pochino troppo alta.
Sulle punte dei piedi, in piena estensione, ancora non riesce ad afferrarla, ma
solo le punte delle dita di una manina davvero mignon sfiorano l'oggetto del
desiderio.
La maniglia, immobile, sorride e aspetta. Fretta non ne ha, in attesa fiduciosa che il cucciolo arriverà con la sua
carezza a toccarla e piegarla.
Penso che io nemmeno mi accorgo delle maniglie, sono lì, ogni
giorno nello stesso posto, le uso, tutte a portata di
mano. Nemmeno ricordo di questa prima conquista, si cresce senza rendersene
conto. Ci ritroviamo grandi, adulti, invecchiati, in un soffio.
Mi volto, eppure sono io, mi accorgo tuttavia che la bambina, la
cucciola che ero, è sempre con me, anche se nascosta e
tanto silenziosa.
Intanto che scrivo,
ecco due mamme a passeggio sul bagnasciuga con i loro bimbi microscopici in
braccio: vestitino bianco, pannolone in bella vista, cappellino d'ordinanza.
Vanno piano piano, chiacchierano tra
loro, e i piccoli sgambettano.
Ecco che si fermano e una si inchina
fino a far toccare le dita dei piedini nell'acqua tranquilla del mare. Un bel
"puccio", sì, diciamo proprio così, ma
soprattutto un bell’urletto di gioia.
Si è fatto buio, tra un pensiero e due parole,
i chilometri fatti sono molti ormai, saremo a metà strada, è ora di una
tappa in autogrill per panino - caffè - bagno - pieno.
Tutto ordinario, se non fosse che
questa volta c’è la variante del puzzo soffocante di benzina a saturare l'aria
della stazione di servizio.
Ringraziamo il gentiluomo che prima di noi ha deciso di farsi il
pieno da solo, continuando la telefonata al cellulare e senza fermarsi a
serbatoio pieno, dando così una bella innaffiata
all'asfalto e, soprattutto, lasciando dietro di sé il ricordo delle sue opere
per ore e ore.
Ripartiamo, il marito autista ha anche
pulito ben bene il vetro davanti, togliendo la collezione dell'insetto per
l'estate raccolta nei chilometri di risaie piemontesi.
Col buio gli Appennini si indovinano più che vedersi.
Certo che le gallerie son
tante, ma i camion ancora di più. Sono come un serpentone che si snoda
incerto tra le curve, con qualche sciagurato che si mette in corsia di sorpasso
facendo scompigliare la fila ordinata di auto e,
soprattutto, spaventare la povera vecchietta passeggera, che prende appunti
mentali sul racconto di un viaggio, ordinario, forse banale, breve, ma tanto tanto intenso.
Intanto che scrivo,
ormai è mattina inoltrata, quasi ora di pranzo, la spiaggia si è riempita,
affollata di quella popolazione tipica dell'Italia al mare.
Le due signore, con forte accento piemontese dell'ombrellone
davanti, sono ancora in piedi dall’inizio della giornata. Tutto il tempo che son stata qui a scrivere, loro due fisse sotto il sole, truccate e ingioiellate, e parlano parlano
parlano... ma come fanno? e
poi che si dicono?
Io sarei crollata da tempo, non tanto per il sole sulla testa,
ma certamente per la troppa confabulazione.
Il vicino di lettino, invece, stanco dalla settimana e dal
viaggio, prosegue il lieve russare, immobile all'ombra, solo una caviglia
fuori. Si sveglierà con questa abbronzatura a macchia.
Dopo l’ultima tappa tecnica per dire alla signora delle mappe
l'indirizzo esatto dell'hotel, ripartiamo, non manca molto,
ormai siamo già sul tratto costiero dell'autostrada.
Le chiacchiere si son
fatte rade, ma quando attraversiamo il colosso di ciminiere di Savona, ci
scambiamo la riflessione comune sull'esistenza di tale mostro industriale.
Mi torna anche il ricordo del viaggio tutto fly-and-drive in Scozia.
Anni fa, se ricordo bene sono almeno otto, nel profondo nord
scozzese, nell’interminabile tratto lungo la costa del Mare del Nord, andando
da ovest a est, in mezzo al nulla fatto di prati, sassi,
pochissime pecore, strade strette con i loro passing place, ecco che ci siamo trovati affiancati da un colosso
di cemento, camini e ciminiere: centrale per lo smaltimento delle scorie
nucleari, avevamo letto sulla guida.
Ma come? Un tratto di
paradiso terrestre da proteggere con tutte le forze, violato, violentato,
profanato, ferito così brutalmente da farmi venire le lacrime agli
occhi.
Intanto che scrivo,
con le parole della Scozia tra la penna e il cuore, il mare ha accolto generoso
la moltitudine di braccia gambe e corpi di ogni genere
ed età nel rito del bagno rinfrescante.
Il sole è alto ora, dritto dritto
e scotta assai. Anch'io ormai mi son
nascosta sotto l'ombrellone, ritirata al sicuro nella sua ombra, con la mia
penna sempre in mano.
Alzo gli occhi e, dalla prima fila, il manager generico medio
attira la mia attenzione.
Bagnante tecnologico, lettura sulla tavoletta
digitale, dito appunto che sale e scende, cambio posizione continuo per il
riflesso fastidioso del sole. Il dito continua a scivolare su e giù,
strano modo di girar le pagine e sfogliare il giornale, penso, ma tant’è, questa è vita moderna. L’importante è che si
continui a leggere, che sia su carta o schermo non importa.
La signora delle mappe ci avvisa che secondo lei mancano dieci minuti all'arrivo. Non vedo l'ora di buttarmi
sul letto, e svenire lì fino a domani mattina.
Imbocchiamo la variante Aurelia bis,
un nome un programma.
Acceleriamo, qualche curva, una galleria lunghissima, di quelle
che ti viene l'ansia appena leggi i suoi chilometri sul cartello all'ingresso,
quando ti arriva, non richiesta, l'immagine flash di coda in galleria.
Finalmente, finita anche questa, siamo di nuovo all'esterno,
alzo gli occhi e vedo in fondo al rettilineo alcune persone a piedi, e un'auto
con le quattro frecce.
"Rallenta, c'è gente ferma!", dico a voce un po’
troppo alta.
Siamo soli, nessun'altra
auto dietro, rallentiamo di colpo.
Fumo, tantissimo fumo, più nero del buio intorno, penso subito a un incendio sulla montagna.
Fermi anche noi, con le frecce accese e spero, prego che non
arrivi qualche cretino distratto che ci prenda in pieno per la velocità.
Apriamo i finestrini, una ragazza urla: "Fermatevi, qui
brucia tutto!".
Un'auto dei carabinieri esce d’improvviso
dalla galleria davanti, lampeggianti accesi, frenata rumorosa, uno dei due
scende e, iniziando a correre, urla "Via, via tutti!".
A questo punto sentiamo un botto tremendo, un'esplosione
fortissima. Penso subito a un incidente, alle auto in
fiamme e ai serbatoi pieni.
Non si vede nulla, ma il puzzo di fumo è proprio forte,
chiudiamo il finestrino e facciamo inversione. Prima di allontanarci faccio in
tempo a sentire il carabiniere che urla spropositi e parole forti all'altro
autista ancora dentro la galleria.
Piano piano ci muoviamo,
tornando indietro e continuando a lampeggiare alle auto in arrivo, agli autisti
ignari diretti verso il punto critico, l’incendio e la galleria annerita.
Non sappiamo cos'è successo, ma ora dobbiamo trovare un'altra
strada, stavolta da soli, perché la signora delle mappe continua a dirci,
testarda, di fare inversione, lei non sa dell'incendio.
Ovviamente sbagliamo strada un paio di volte, e poi riusciamo a
scendere verso Albenga e trovare la storica Aurelia.
Intanto che scrivo, il
marito tecnologico cerca col telefono tuttofare notizie dell'incendio e mi aggiorna con l'agenzia battuta un'ora fa: "Nella notte
sette auto a fuoco tra Albenga e Alassio.
Forse incendio doloso. La polizia indaga."
Ecco, era proprio appena successo.
Ricordo invece che anni fa siamo scappati da Spotorno
per l'aria irrespirabile, ma quella volta era un
incendio terribile sulla montagna dietro il paese.
Ringraziamo gli sciagurati che provocano questi disastri, che
appiccano fuochi e godono delle loro azioni scellerate,
infantili e davvero tanto malate.
Trovata la vecchia Aurelia, un sospiro di sollievo e di stanchezza, ma siamo quasi alla
meta. La strada è tortuosa, attaccata alle rocce chiuse dalle reti protettive e
sopra un mare scuro, nascosto sotto lo strapiombo.
Alzo gli occhi, una distesa di luci è proprio
lì davanti, bassa, sempre più vicina.
Una meraviglia. La scritta luminosa “ALASSIO” tutta a
stampatello sulla montagna ci annuncia il più bel ben arrivati, proprio a noi.
Scendiamo lungo le ultime curve, entriamo in città, seguiamo
passivi la signora delle mappe che ha ritrovato la voce e la strada.
Io ho quasi finito, vorrei farmi un'idea di quanto ho scritto,
quante battute, ma sul quaderno vecchio stile non ho la funzione di
conta-parole. Dovrò aspettare.
Era proprio tanto che non riprendevo in
mano una vera biro su un vero quaderno di carta, sporcandomi pure con
l'inchiostro, quasi un ritorno ai vecchi tempi della scuola, un ricordo del
passato lontano, che ci accompagna silenzioso ogni giorno.
Intanto che scrivo, ascolto il mare, i suoi suoni e i profumi, i
suoi colori puri di inizio estate. Di questo mare mi
colpisce proprio il profumo delicato, sommesso, mai invadente.
Lo senti, sottovoce, quasi sussurrato, che si mescola agli odori
di creme da sole e sigarette, di cibi e sabbia. Non è nemmeno
un odore salato, è invece molto sottile.
Anche la sua brezza è leggera e soffia
costante. Una bella compagnia, piacevolissima.
In acqua invece si sente di più, soprattutto se si fa la
degustazione, involontaria e con tanto di accompagnamento
con tuffo. Si sente bene il sale, marino e naturale. Le labbra sorridono, gli
occhi un po' meno.
La spiaggia è ormai quasi satura, solo qualche ombrellone è
rimasto ancora chiuso.
I tavolini del bar si stanno riempiendo per pranzo.
Sono proprio venuti tutti al mare.