Stefano Peri

 

LUCA RANGER E IL REGNO DI THAILOND

 

Quella notte Luca non riusciva a dormire. Era da tempo che faceva sempre quel maledetto sogno: dei grandi corvi neri dagli occhi rossi volavano attorno ad una rocca d’oro con motivi orientali di puro argento. Ma quella notte vide nel sogno i corvi che entravano nelle segrete della rocca. Ogni cella aveva una targa e su una c’era scritto “Luca Ranger”, il suo nome, ma la cella,  la sua cella, era vuota.

Improvvisamente Luca si svegliò, come se quegli uccelli lo stessero mordendo. Guardò l’ora e scoprì, con sua grande sfortuna, che era di nuovo in ritardo per la scuola. Si vestì e preparò freneticamente lo zaino, senza neanche fare colazione, e s’incamminò per la strada.

Come il solito alla prima ora c’era la terribile Panzer Urcus, l’insegnante di matematica.

A Luca faceva paura, tanto che la vedeva così: un’altezza di quasi due metri, un peso di una tonnellata, due occhi gialli venati di sangue, dei denti affilati come coltelli e due bracciali borchiati ai polsi. Appena Luca entrò, si beccò la solita sgridata e la stessa punizione di tutte le altre volte: tre pagine di esercizi per il giorno seguente. Lui non disse nulla per non peggiorare la situazione.

Per il resto della giornata andò tutto bene, ma quando uscì da scuola, vide un corvo sopra un albero che lo fissava, e sembrava quasi volergli dire: “Seguimi”. Il corvo volò via e Luca lo seguì, riusciva a stargli dietro perché il corvo volava lento rimanendo a bassa quota, come fanno di solito gli uccelli quando sta per piovere. Luca guardò in cielo ma c’era un sole splendente, perciò non c’erano dubbi: quel corvo era lì per lui.

A un tratto il corvo si posò sopra il braccio di un uomo anziano che disse a Luca:

- Benvenuto al nostro villaggio , o Sommo Principe”.

- Ma io non sono un principe… Non fece in tempo a finire la frase che l’uomo disse: - Ah, no? E chi sarebbe il Principe Arul Grenac, se non tu? Prova ad anagrammare il tuo nome…non diventa A R U L   G R E N A C ? Luca ci riflettè un attimo, poi chiese all’uomo chi fosse. - Io sono Mago Vulcan. Noi abbiamo bisogno di te perché il Popolo Corva ci perseguita da tempo e tu sei l’unico che ha ereditato il Potere della Natura. Dovresti essere al Carcere della Fortezza d’Oro ma ti abbiamo salvato. Abbiamo scoperto i tuoi incredibili poteri. Devi partire subito per la Montagna Azzurra e prendere il Vaso L., solo così sconfiggeremo il Popolo Corva.

Quella notte Arul si mise in sella a una colomba grande come un cavallo che poteva essere facilmente cavalcabile e si mise in viaggio verso la Montagna Azzurra. Inizialmente non incontrò nessuno, ma a notte fonda udì un fruscio in un cespuglio di fronte a lui. Il fruscio si trasformò in un batter d’ali e dal cespuglio uscì un corvo, non uno di quelli grossi usati come cavalcature, ma uno di quelli piccoli da caccia. I suoi piccoli occhi rossi sprigionavano ira e perfidia. Arul lo guardò dritto negli occhi e gli tirò una freccia. Prima che potesse ucciderlo il corvo incominciò a parlare: “Fermo! Io sono Otocle, il corvo di Mago Vulcan, sono l’unico della mia specie che si è ribellato al Re Coroncorvatus, il capo del Popolo Corva. Il mio sguardo sembra cattivo ma sono qui per proteggerti.” Arul lo riconobbe e cercò di togliergli la freccia ma improvvisamente un cavaliere sulla sua cavalcatura (un corvo gigante) uccise Otocle con un colpo di balestra e tentò di fare lo stesso con Arul, ma questi fu più veloce e con Tortoyk, la sua colomba, attraversò la foresta e si nascose all’interno della Grotta Coroncorvatus, a poche miglia dalla Montagna Azzurra, e lì passò il resto della notte.

Si addormentò immediatamente. Al mattino si svegliò tranquillamente, senza capire quanto avesse dormito. La grotta Coronocorvatus si trovava al centro di un deserto, qua e là vi si trovava qualche roccia.  L’orizzonte era di un colore tra il rosa e l’azzurro, pieno di nuvole di forma allungata e di color arancione. Il sole basso era rosso chiaro e le nuvole riflettevano il suo colore su quel deserto.

Arul si mise in sella a Tortoyk e la fece camminare per non rischiare di essere visto volando. Ogni tanto per terra c’erano degli psicorpioni, cioe’ degli scorpioni con il ventre grigio, la schiena blu e con quattro chele e due code. A un tratto Tortoyk emise un grido e Arul fece in tempo a vedere un viperobra (incrocio tra una vipera ed un cobra) infilarsi sotto la sabbia. Arul le curò la ferita e approfittò di quella sosta per mangiare qualcosa. Procedendo incontrarono sempre più psicorpioni e impronte lunghe venti centimetri di rettile a due zampe. Arul non capì a che animale potessero appartenere ma, con sua grande sfortuna, la feroce bestia comparve davanti a lui. Era un artiglioraptor di due metri, i suoi occhi gialli lo fissavano ed in quel momento aprì le sue creste, due gialle sulla testa, una blu sulla schiena e due rosse al lati del cranio. Spalancò le sue fauci e sollevò le labbra per mostrare i suoi temibili denti. Le sue ali colorate si aprirono in un ventaglio come pure le piume della coda. Aprì il becco, chiuse la bocca dello stomaco ed emise il suo richiamo. Arul non aveva mai visto un animale simile, l’artiglioraptor batteva la coda per terra e graffiava l’aria con gli artigli, poi alzò la coda, ritrasse il collo e le zampe anteriori (a cui erano attaccate le ali) al petto ed in una frazione di secondo fu addosso a Tortoyk. La colomba gridava e sanguinava mentre  Arul cercava di coprire gli occhi della bestia per calmarla. Non lo uccideva perché Tortoyk era stata indebolita dal morso del viperobra e stava perdendo le forze, quindi avrebbe potuto domare e cavalcare l’artiglioraptor. Esso era più potente e veloce sia delle colombe sia dei corvi e sarebbe stato una perfetta cavalcatura, il che avrebbe permesso alla sofferente  Tortoyk di riposare. Il mostro con la coda frustava le mani di Arul facendole sanguinare, allora non restò al ragazzo altra scelta che salirgli in groppa ed atterrarlo. Con una corda legò le zampe posteriori dell’animale e la strinse, facendogli perdere l’equilibrio. A questo punto la bestia, sentendosi intrappolata, dovette calmarsi ed obbedire agli ordini di Arul. Questi gli disse di andare alla Montagna, mentre la colomba riposava alla Grotta CLXXVII (una piccola grotta fra la Montagna e la Grotta di Coronocorvatus). Il predatore dalle piume azzurre, su cui si trovava Arul, correva velocemente e mancavano pochi metri alla Montagna quando non poteva arrivare cosa peggiore. Era una parola che faceva tremare sia il Popolo Nava sia il Popolo Corva. La parola è… …crestaraptor…o crestasauro, se preferite. Un crestaraptor, il peggior nemico degli artiglioraptor (o artigli sauri), era comparso davanti a loro. Era molto simile all’altro rettile: quattro creste (due blu e due gialle) sopra il corpo, quattro rosse ai lati della testa e altre due rosse ripiegate sulle guance per proteggerle. Le ali erano molto più grosse e potenti, la coda più folta e forte e le zampe posteriori, con un artiglio acuminato sul primo dito, erano più muscolose. Non aveva né becco né piume, ma una bocca da coccodrillo, più larga e corta; la pelle composta di squame e il corpo lungo tre metri e mezzo. Arul si trovo’ con Artiglio davanti al crestaraptor, il mostro più crudele e spietato di Thailond, il territorio abitato dai popoli Nava e Corva.

Arul si sentiva spacciato. Il crestaraptor era l’unica creatura che non poteva essere uccisa. Da lontano avrebbe schivato il colpo e da vicino…beh, era impossibile andargli vicino. Il crestaraptor era già saltato da un lato all’altro del viale almeno una decina di volte prima che Arul scoprisse il suo punto debole. - Dal basso… sussurrò. Devo attaccarlo dal basso.- Allora cercò una roccia e decise di farsi seguire dal crestaraptor. Artiglio corse per il viale, salì e scese di corsa dalla roccia e quando ci fu sopra il crestaraptor, Arul lo colpì al petto con una freccia. L’animale ruggì e cadde a terra, cercò di togliersi la freccia ma la punta di ferro gli rimase conficcata nelle costole. Mentre si dimenava, la creatura sembrava stupita nell’aver visto scoperto il proprio punto debole, e in breve tempo morì.

Arul vide che nello spazio antistante alla porta d’ingresso della Montagna c’era uno psicorpione d’oro con il torace tempestato di rubini e zaffiri: era la chiave per entrare! Arul infilò una delle due code nel buco della serratura e la porta, tutta d’oro con un occhio turchese disegnato al centro, lentamente si aprì. All’interno vide tanti vasi in oro, argento, e nei metalli più preziosi. Qual’era il Vaso L.? Arul pensò e poi, rovistando fra i vasi, ne trovò uno fatto di arbusti intrecciati rivestiti di ghiaccio. Dentro si intravedeva una fiammella e dell’aria che le girava intorno. Arul aveva il potere della Natura, quel vaso era fatto dei quattro elementi (terra-acqua-aria-fuoco), per cui non c’erano dubbi: quello era il Vaso L.! Arul fece per prenderlo, ma una rete di ferro gli intrappolò le mani. Una porta all’interno della Montagna si aprì e ne uscirono tanti corvi da caccia. Arul, senza volerlo, grazie alla forza della disperazione, diventò tutto di ghiaccio e ruppe la rete, poi gli indici diventarono due rami appuntiti, gli occhi divennero di fuoco e all’interno del corpo aveva tantissima elettricità. Sempre senza volerlo, scagliò dei fulmini dagli indici e arrostì due corvi, poi lanciò delle fiamme e ne bruciò altri due, infine spruzzò del ghiaccio e ne congelò uno mentre con un indice ne infilzava un altro. Poi Arul riprese le proprie sembianze, rubò il Vaso e scappò con Artiglio sotto lo sguardo incredulo di tutti i corvi sopravvissuti. Ora non rimaneva altro da fare ad Arul che andare al castello del Re Coronocorvatus. Un corvo era riuscito ad avvertire quest’ultimo che il Principe Arul, con il Vaso L., stava giungendo per affrontarlo.  La rabbia del Re provocò un temporale con tuoni e fulmini. Arul costruì con il ghiaccio una cupola simile ad un ombrello che lo riparava insieme ad Artiglio mentre proseguivano il loro cammino. Poco ci volle ad Arul per arrivare a destinazione. Il castello era imponente e tutto nero. C’erano un’infinità di torri e tante guardie, ma non erano normali. Pareva che facessero fatica a camminare, si muovevano a scatti ed avevano delle maniche esageratamente larghe. Quando videro Arul emisero uno strano grido acuto e gli puntarono addosso gli archi con le frecce, ma una voce diede loro l’ordine di farlo entrare. All’interno del castello c’erano altre guardie. Arul ruppe la cupola di ghiaccio e si accorse che le guardie non erano umane: erano uomini-corvo! Arul entrò nella stanza di Corvus Coroncorvatus. In mezzo alla stanza c’era un uomo in po’ informe, avvolto da un mantello viola. L’uomo si girò di scatto e Arul per poco non svenne dall’orrore. Il Re non era umano: aveva una grande testa calva, gli occhi rossi con le pupille gialle su due penducoli, dei denti appuntiti gialli e neri che uscivano dalla bocca, due tentacoli con due mani scheletriche alle estremità al posto delle braccia, un corpo viscido da lumaca e la pelle tutta azzurra.

Il re attaccò ma Arul compì la metamorfosi. Allora il Re si bloccò. Adesso fu Arul ad attaccare: lanciò un fulmine che gli rimbalzò contro, tirò una fiamma e l’evento si ripetè. Così Arul non faceva altro che auto colpirsi. Notò, però che il Re cercava, con i tentacoli, di far cadere il Vaso. Arul non poteva colpire il suo nemico, altrimenti il Re l’avrebbe fatto rovesciare il vaso. A questo punto Arul fece uscire dal palmo della mano un ramo che bucò il Vaso e fece sgorgare un liquido che lo bagnò. Improvvisamente Arul aumentò i suoi poteri, le sue dimensioni e assunse l’aspetto di un’enorme aquila con due corna da toro: la Lura. Questa creatura parlava il dialetto dei Nava. In quel momento Arul capì tutto: “Arul” al contrario diventa “Lura” e il Vaso L. altro non è che il Vaso Laconuxx, che significa Vaso Forza della Natura Potenziata. A questo punto Arul, dopo essersi abituato al nuovo corpo, con una sola zampata distrusse il Re Corvo Coroncorvatus. Tutte le sue guardie si dissolsero. Il castello scomparve nel nulla sprofondando nel terreno, ed Arul, una volta uscito, torno’ alla sua forma originale per sempre. Il Popolo Nava lo ringraziò e Mago Vulcan lo fece accompagnare a casa da una colomba da caccia. Tornato a casa Arul, in altre parole Luca, non dovette raccontare nulla: i suoi genitori, il Re e la Regina di Thailond, sapevano già tutto.

Alla fine la famiglia si strinse in un grande abbraccio.

Il giorno dopo, a scuola, Luca era come il solito, il ragazzo solitario spesso zimbello dei compagni. Da allora, però qualche cosa cambiò: una volta la sedia del bullo della classe si ruppe facendolo ruzzolare, un’altra gli caddero i pantaloni; un giorno la professoressa Panzer Urcus scivolò, nessuno sa come…tranne qualcuno di nostra conoscenza!