Vikas Paini
IL
VIAGGIO
In un paesino di
pianura, ai primi del Novecento, viveva un bambino di nome Filippo. La sua era una famiglia assai povera e lui era il primo di cinque
fratelli.
Tutti i giorni andava a scuola con dei sandali rotti e con delle calze più volte
cucite. I suoi piedi erano rovinati per il continuo camminare
ma, in compenso, aveva un bel viso con due occhi vispi, un piccolo naso
e una bocca sottile. Era spesso vestito con abiti grigi, un po' rovinati e sbiaditi. D'altra parte la famiglia non
poteva fare diversamente.
La mattina del suo
compleanno, però, i suoi genitori gli fecero trovare
vicino alla sedia, dove di solito faceva una piccola colazione a base di latte
e di pane secco, un bel paio di scarpe di cuoio. Il bambino si meravigliò nel
vederle, perchè non le aveva mai
possedute prima di allora e non capiva le ragioni di quello che per lui
era un costoso regalo.
La mamma allora con
calma gli spiegò:
"Ora che sono finite le scuole e sei
stato promosso, non potrai più studiare ma dovrai
anche tu trovarti un lavoro, perché non sappiamo più come sfamare i tuoi
quattro fratellini. Il papà lavora giorno e notte, ed io sto in ballo tutto il
tempo per accudirli. E' quindi necessario che tu impari un buon mestiere, come
quello del falegname, recandoti da zio Venanzio, che abita a parecchi
chilometri di distanza da casa nostra. Nonostante tu
debba compiere questo lungo percorso, che dovrai fare tutto a piedi, avrai il vantaggio
di poter calzare questo bel paio di scarpe nuove, frutto dei nostri sacrifici.
Lo zio ti ospiterà a casa sua fino a quando tu avrai
appreso con sicurezza il mestiere di falegname".
Mentre usciva, Filippo
le disse: "Tu e papà siete stati molto generosi
con questo dono e vi ringrazio di tutto
cuore. Cercherò di averne cura perché queste scarpe durino a lungo".
Dopo averle calzate,
salutò entrambi i genitori. Si sentiva un altro: più che normali scarpe in
cuoio, gli sembrava di calzare delle morbide pantofole rivestite internamente
con del velluto morbidissimo, come quelle che portavano ai piedi i grandi re quando, comodamente seduti sul loro trono, ricevevano
ospiti illustri.
Lungo la strada, mentre
raggiungeva la meta, Filippo pensava alla fortuna che gli era capitata e
avrebbe voluto mostrare al mondo intero quelle preziose scarpe, ma
improvvisamente comparvero in prossimità di un incrocio un gruppo di teppistelli che erano soliti
compiere dispetti o furti di ogni genere, soprattutto nei confronti delle
persone più deboli.
Il ragazzino si guardò
intorno per vedere se ci fosse qualche conoscente o amico più grande di lui che
avrebbe potuto difenderlo, ma si accorse che non c'era proprio nessuno. Si fece
coraggio, pregò il suo santo protettore e poi si incamminò
per quella strada.
Pur facendo finta di nulla,
quei monelli si avvicinarono a lui e cominciarono ad insultarlo; in seguito lo
spintonarono e lo fecero cadere. Improvvisamente uno di loro esclamò:
"Ehi! Guardate il pivello, oggi va in giro con le scarpe lucide, anzi
nuove di zecca. Perché non gliele rubiamo,
rimandandolo a casa a piedi scalzi? In fondo, un pezzente del genere non si
merita un paio di scarpe così belle!". E, dopo
averlo pestato, gli sfilarono le scarpe in malo modo e fuggirono via.
Il povero Filippo, tutto
malconcio, si disperò, poi ebbe la forza di rialzarsi e cercò di rintracciarli, ma dei
ragazzacci, in breve tempo, non ci fu più neanche l'ombra. Senza le scarpe non
poteva più proseguire il viaggio; fu così costretto a malincuore a tornare a
casa.
Intanto quella
squadraccia di manigoldi raggiunse un piccolo covo, ben nascosto, dove era
solita riunirsi dopo aver compiuto qualche bravata.
Fu allora che il
capobanda, dopo essersi fatto consegnare da un biondino le scarpe appena rubate,
esclamò: "Come capo, ho il diritto di provarle come primo e, visto che la
misura corrisponde alla mia, potrò sfruttarle a lungo
e correre meglio. Poi quando saranno consumate le passerò al mio vice, che provvederà a
consegnarle a turno agli altri".
I teppistelli
non ebbero il coraggio di opporsi a quella proposta, perché sapevano che il
loro capo era il più forte tra loro e, in qualunque sfida, sarebbe sempre
uscito come vincitore.
Arturo, così si chiamava
il prepotente, si prese allora le scarpe e le indossò. All'inizio le trovò
assai comode ma, quando incominciò a camminare, gli sembrava che contenessero
dei rovi che gli pungevano costantemente le piante dei piedi e gli graffiavano
le caviglie. Quanto poi a mettersi a correre, era una azione
quasi impossibile.
Prese allora la parola
e, senza rivelare nulla di quanto gli era accaduto,
aggiunse: "Ho pensato che non è giusto che io porti le scarpe, perché in
fondo sono state sottratte a Filippo da Giò, il
biondino. E, visto che sono come un bottino di guerra,
ho deciso che le regalerò a lui".
Come al
solito gli altri coetanei non dissero nulla e il biondino ricevette il premio
così tanto desiderato: casualmente anche lui aveva lo stesso numero, ma pure
lui quando le indossò ebbe una sgradevole sensazione. Gli sembrava di avere i
piedi stretti tra due morse, più camminava, più la stretta diventava terribile,
così che ad un certo punto urlò: "Ahi!" ma, trovandosi un po' lontano
dal gruppo, nessuno gli
fece caso.
Poi, non sapendo come
fare e per non rischiare di offendere il capo, si rivolse a tutta la banda con
queste parole: "Non è giusto che io tenga le scarpe tutte per me e, visto
che il nostro motto è Tutti per uno, uno per tutti,
tireremo a sorte coi dadi e, al più fortunato, toccherà il paio di scarpe".
Anche questa che
sembrava una ragionevole proposta non risolse il
problema: tutti quelli che, uno dopo l'altro, cercarono di indossare quelle
scarpe provarono delle sensazioni più o meno sgradevoli o dolorose a tal punto
che alla fine ogni ragazzo con scuse diverse decise che era meglio buttarle.
Sembravano scarpe "maledette". E tutti, una volta
tanto, furono subito d'accordo.
Le scarpe vennero così abbandonate lungo il ciglio di una stradina di
campagna e, al mattino seguente, furono notate da un giovane pescatore.
Era questi un ragazzo di
nome Berto e, non avendo più voluto andare a scuola, i
suoi genitori lo avevano mandato ben presto a lavorare da un fabbro. Quando aveva un po'
di tempo libero, andava a pescare con la sua canna.
Era sempre generoso con
tutti: quando poteva aiutava quelli che erano in difficoltà e, se riusciva a
catturare un buon numero di pesci, li distribuiva in parte a molti abitanti del
villaggio che erano poveri e affamati.
Vivendo in una famiglia di origini modeste, fu quindi contento di aver trovato
quelle scarpe di cuoio. All'inizio si chiese di chi fossero
e come fossero capitate in quel luogo, ma poi non avendo visto in giro nessuno,
le raccolse e guardò subito la taglia.
Fu felice
quando capì che gli potevano andare proprio bene. Appena le indossò e
cominciò a camminare ebbe la sensazione che non solo fossero
comode e resistenti ma che, anche a contatto con l'acqua, riuscissero a
mantenere il piede asciutto come se fossero degli stivali nuovi. Era una vera
fortuna per lui che non aveva mai posseduto degli stivali, perché quel che
guadagnava gli serviva per aiutare economicamente la sua famiglia.
Perciò con quelle scarpe
provò, quel giorno, a spingersi
in mezzo al fango e riuscì a catturare
molti più pesci di quanto non avesse mai fatto.
A sera tornò al suo
paese e il giorno dopo
potette vendere quanto aveva pescato mettendo da parte un bel
gruzzoletto. La sua generosità lo spinse però a regalare una parte del pescato
anche a famiglie povere, le quali non sempre avevano la tavola
apparecchiata.
Tra queste, c'era anche
la famiglia di Filippo che, proprio in quel giorno, sembrava assai disperata,
come se fosse successa una terribile disgrazia.
Quando il giovane entrò
in quella casa la mamma di Filippo lo accolse con
queste parole: "Caro Berto, siamo contenti che tu sia venuto a farci
visita, ma oggi è un giorno triste per Filippo e per tutti noi. Ieri abbiamo
regalato a nostro figlio per il suo compleanno un bel
paio di scarpe di cuoio, fabbricate dal nostro buon ciabattino Ninetto: erano
il frutto dei risparmi di un intero anno. Durante il tragitto per recarsi dallo
zio Venanzio per apprendere un lavoro, mio figlio è stato
però assalito da una banda di giovinastri che, dopo averlo picchiato, lo
hanno privato di quelle scarpe e sono andati poi in giro a dire per tutto il
paese che con quelle calzature era come
camminare sui chiodi. Infine, per giunta, hanno preso e hanno buttato via quel
dono così prezioso per Filippo".
Dopo questo racconto e
da tanti altri particolari che vennero aggiunti dalla
donna, Berto comprese che le scarpe che aveva trovato e che lui indossava in
quel momento erano il regalo di compleanno di Filippo perciò, senza neppure
esitare un attimo, disse: "Ecco le scarpe di suo figlio e, non solo sono
comode, ma riescono a sfidare qualunque tipo di tempo e di ambiente; io ve le
ridarò così che possa restituire a voi una speranza che credevate
perduta".
Filippo, tutto
raggiante, potette così calzare di nuovo le scarpe e, questa volta, ebbe la
sensazione che fossero confortevoli e calde come se
fossero state confezionate con della morbida lana.
Berto, Filippo e il
resto della famiglia furono soddisfatti per aver risolto quanto era accaduto,
ma non capivano come mai quelle stesse scarpe
producessero reazioni diverse in chi le indossava.
Si recarono allora da
Ninetto, che era un ciabattino ormai anziano ma di grande esperienza.
Questi, dopo aver ascoltato il loro racconto, spiegò: "Mio nonno, prima di
morire, mi ha tramandato un prezioso segreto e mi ha insegnato a fabbricare scarpe che possano
rispecchiare i sentimenti umani: se uno ha in sè un
animo malvagio le scarpe sono per lui come una prigionia, ma se una persona è
di animo buono e generoso quelle stesse scarpe sono come delle ali ai
piedi".
Soddisfatti della risposta,
Filippo salutò la famiglia e il giovane Berto, poi indossò le scarpe ritrovate.
Pensando alle parole del ciabattino gli sembrò davvero di avere delle ali ai
piedi perché, nonostante il viaggio fosse durato tre giorni con brevi soste
durante la notte, si trovò finalmente a casa dello zio Venanzio, ancor prima
del previsto.
Appena lo abbracciò,
raccontò quello che gli era accaduto nei giorni precedenti e, dopo aver
accuratamente riposto le sue scarpe di cuoio per indossare dei semplici
zoccoli, aiutò diligentemente lo zio per imparare il nuovo mestiere di
falegname.