Carolina Pelosi
Un viaggio nella paura
Tutto è cominciato una sera d’inverno, mentre passavo in cameretta per prendere
il libro di storia che avrei dovuto studiare, ma del quale non m’interessava un
gran ché. Quando
improvvisamente sono stata percorsa da un brivido che mi ha attraversato la
schiena:
- Ma
quello dietro i vetri chi è?- Ho detto a me stessa ad alta voce quasi per
infondermi coraggio.-
- Non sarà mica un ladro
che vuole approfittarsi di me e della mia povera zia e vuole cercare di entrare
in casa nostra per portar via quello che abbiamo e che custodiamo con amore,
perché è tutta roba dei miei genitori e dei miei nonni che hanno lasciato qui
per me?-
Questo era ciò che diceva,
anzi pensava, Vittoria. Mentre era affacciata alla
finestra della sua camera durante una cupa sera d’inverno.
No, non sapeva di chi fosse l’immagine sfuocata che aveva visto.
Era soltanto consapevole di
essere spaventata, ma nello stesso tempo tranquilla.
Dopotutto, ella viveva da sempre in una campagna
isolata. Era abituata ad assistere ad insoliti avvenimenti.
Il giorno seguente, alla
stessa ora, si riaffacciò alla finestra e stranamente lo sconosciuto era lì a
pochi metri da lei, ma vi era troppa nebbia per vederlo chiaramente.
Improvvisamente passò una macchina con i fanali accesi e come per magia egli
scomparve.
- Che
cosa poteva essere successo? - Si chiedeva Vittoria. Ella
chiuse velocemente la persiana che faceva un rumore scricchiolante e così si
diresse verso la zia Ambra. Era intenzionata a dirle ciò che era successo, ma
appena fu lì davanti a lei, non riuscì a dirle nulla.
Tanto era sicura che sua
zia l’avrebbe fraintesa. Quella notte non riuscì a prendere sonno facilmente,
perché non riusciva a non pensare a ciò che le era capitato.
La sua vita riprese
tranquillamente come al solito. Vittoria, però, di
tanto in tanto, ripensava all’accaduto di qualche tempo prima
e si convinceva sempre più che era un uomo quello che aveva percepito in quella
sera di nebbia sulla strada ed era sicura che guardasse proprio dentro la sua
finestra. Aveva notato, però, che da allora non riusciva più ad avvicinarsi
alle imposte. Quando veniva sera, di solito, chiedeva ad Ambra:- Zia hai chiuso le finestre?-
Solo quando era ben sicura
che le finestre fossero chiuse, si avvicinava alla sua camera.
Zia Ambra notò questo
cambiamento di Vittoria anche perché questa era una ragazza molto coraggiosa e
mai aveva chiesto se fossero chiuse le finestre, anzi,
prima era sempre lei che andava avanti ed indietro per la campagna ad aiutare
la zia in qualche faccenda domestica.
Vittoria era la figlia
della sorella di Ambra che era morta molti anni prima
per una malattia molto grave ai polmoni. Suo padre non si era più fatto sentire
ormai da tanti anni. Era partito per motivi di lavoro. Era andato nell’altra
parte del mondo, in Giappone. La zia si era presa cura della nipote, vivevano
assieme ed erano molto legate. Niente e nessuno le potevano separare più. La
cascina dove abitavano si trovava nei pressi di Magenta, zona della Val Padana
molto industrializzata ed anche molto evoluta. Vittoria con la sua bicicletta
andava a scuola e tornava in cascina da sola. Era molto autonoma e i pochi
abitanti di quella campagna conoscevano lei e sua zia. Le rispettavano molto.
Il nonno era stato tanti anni prima medico della
cittadina ed era stimato da tutti per la sua alta professionalità, ma
soprattutto perché era molto umano. Aveva fatto del bene a tutti. I contadini
lo adoravano. Faceva sempre il giro per le cascine e visitava chi ne aveva bisogno, prediligendo anche i bambini. Quando andava per cascine, riempiva la macchina di dolcetti,
cioccolatini e caramelle da distribuire ai figli dei contadini. La nonna, però,
non sempre era contenta di ciò. Le donne sono sempre un po’
meno generose, preferiscono dare alla loro famiglia piuttosto che agli
altri.
Il nonno si commuoveva, a
volte, di fronte ai bambini mal vestiti e mal nutriti delle campagne
circostanti Magenta che si avvicinavano con aspettative
alla sua macchina, quando andava a visitare gli ammalati che non potevano
andare in ambulatorio ed era perciò che offriva i suoi dolci a questi. Erano
tempi, allora, molto diversi da quelli di oggi. Non
c’era tutta l’abbondanza di cibo che riempiva i supermercati. Essi non
esistevano neppure. La spesa si faceva quotidianamente e si acquistavano i
prodotti più necessari. Quelli che servivano per preparare il
pranzo e la cena e non certo caramelle, cioccolatini e biscottini.
Questi prodotti si consumavano solamente durante le festività.
Il nonno, quindi, si
conquistò così l’affetto di tutti, oltre al fatto di essere un ottimo medico,
tanto che Vittoria era solita ascoltare dalle vecchie signore di Magenta: - L’è
la neuda del sciur duttur?- Le chiedevano. E quindi continuando:
- Lu
sì che l’era una degna persuna ed un bon dutur!-
. Era molto fiera di suo
nonno e nello stesso tempo molto contenta che tutti, nella sua zona, la
conoscessero e le volessero bene anche grazie al ricordo che il nonno aveva
lasciato in tutti gli abitanti.
Vittoria, è bella e fiera,
ed eccola correre per strade e stradine senza alcuna inibizione.
Era nata lì ed era cresciuta in quei luoghi senza mai essersene allontanata. Le
piaceva tutto della sua cascina e della sua terra, ma come
mai, da un po’, era turbata? Sempre le tornava in mente l’ombra che
aveva visto o credeva di aver visto, dietro la finestra, quella benedetta sera.
Vittoria era tormentata da
ciò.
Aveva, sì, paura ma voleva,
nello stesso tempo, essere sicura che non fossero i fantasmi della sua fantasia
ad impadronirsi di lei. Voleva invece essere lei a dominarli. Ciò nonostante,
la sera si preoccupava che fosse zia Ambra ad occuparsi di chiudere bene le
imposte, cosa che prima faceva volentieri lei.
Ormai era maggio e la
nebbia non tormentava più la nostra zona. Le giornate si erano allungate, l’ora
legale regalava tanta luce e fu così che Vittoria, senza più pensare
all’accaduto di tanti mesi prima, una sera si avvicinò
alle finestre per chiuderle. Ecco allora apparire nitida, chiara, precisa una
figura di uomo che si stagliava in tutta la sua
interezza.
La ragazza rimase quasi
paralizzata a tale visione.
Strano! Non riusciva a
distogliere i suoi occhi dagli occhi di quello sconosciuto. Si sentiva attratta
da quegli occhi che le ricordavano qualcosa, qualcuno…!
Quando
improvvisamente nella camera entrò la zia Ambra. Quest’ultima era inchiodata alla
finestra e appariva essersi isolata dal mondo. Subito la zia si avvicinò alla
finestra e capì ciò che c’era da capire.
Quell’uomo altri non era che il padre di Vittoria, che tanti anni prima era
partito, quando lei era ancora piccolissima e che non aveva mai conosciuto. Era
difficile ricordarsi di una persona che si era vista solo fino a due anni e
dopo più. La zia sconvolta ma razionale, non cacciò l’uomo, ma lo invitò,
perché era pur sempre il padre di Vittoria a entrare,
anche perché era giusto che lei si riavvicinasse a lui, se questo era arrivato
fino a tal punto, pur di vedere sua figlia.
Vittoria era stordita
nell’assistere all’affabile invito che sua zia porgeva a quell’uomo,
invitandolo ad entrare e si agitava per farle capire che non doveva, perché si
trattava proprio di quel tale che mesi prima l’aveva spaventata a morte,
appostandosi fuori dalla finestra per spiarla.
La zia, appena vide
l'espressione terrorizzata della nipote, le disse chiaramente:
- Non devi preoccuparti
perché, se io l’invito ad entrare, c’è qualcosa che devi sapere..
Vittoria si sentiva
frastornata:
-Ma cosa sta succedendo, zia?- ed ancora:
-Ma quello è l’uomo che…-
- Non c’è nessun problema.-
- La rincuorava zia Ambra.
- Se
lo invito, è perché lo conosco da molti anni.
- Ora è giusto che lo
conosca anche tu.-
Vittoria, in vita sua, non
si era mai sentita così infelice come in quel momento. Possibile che la zia non
si rendesse conto del suo stato d’animo? Ciò nonostante
dovette sottostare alla sua decisione. L’uomo fu invitato ad accomodarsi
ed entrò con un certa aria dimessa, come se fosse in
colpa per tante cose. Fu così che zia Ambra, non appena lo sconosciuto si
accomodò in casa, senza alcun preambolo, disse a sua nipote:
- Vittoria non avere alcuna
paura, - sempre continuando col sorriso sulle labbra.
- E’ tuo padre.-
Vittoria, udite queste
parole, sciolse tutta la tensione accumulata, scoppiando in un pianto a
dirotto. Finalmente quel nodo che le attanagliava la gola si stava sciogliendo
piano, piano. La paura era finita e Vittoria aveva terminato il suo viaggio
nella paura, ormai stava cominciando per lei una nuova vita, fatta di
conoscenza con l’uomo che l’aveva messa al mondo e che la adorava. Non era
solamente perché aveva capito che l’ombra dello straniero, venuto fuori dalla nebbia, una sera, come un fantasma….altri non era che suo padre, ma anche perché aveva capito
che era amata da lui. Per mesi e mesi, l’aveva seguita e gli era stato vicino
pur di vederla e di essere accettato da lei con amore ed è
perciò che abbracciandola, finalmente le poteva dire:
- Non avere paura, ora c’è qui il tuo papà, pronto a difenderti ed ad amarti per sempre ed ogni tuo viaggio da oggi in poi l’affronterai con me!-