Marco
Oldani
Incontro a Lisbona
L’aria fresca del mattino
gli accarezzava dolcemente il viso, mentre si dirigeva verso il Tago percorrendo la Rua Augusta.
Lisbona era ancora avvolta da quella particolare atmosfera carica di attesa che hanno le città prima di risvegliarsi.
Costeggiò per un tratto il fiume, e poi salì verso la Cattedrale, superato da
un vecchio tram che sembrava arrancare sferragliando. Si chiese con che occhi e
con quali sentimenti aveva guardato per la prima volta
quella città sua zia (in realtà era la sorella di sua nonna, ma lui la chiamava
zia), quando, giovanissima e determinata, era arrivata nella capitale
portoghese per cercare di inseguire i suoi sogni, nonostante il parere
contrario di tutti i membri della sua famiglia, che, da quel momento, l’avevano
letteralmente cancellata dalla loro memoria. Tutti tranne sua
sorella, l’unica con la quale aveva mantenuto qualche contatto. E
proprio alla sorella era indirizzata quella cartolina che, per dieci anni, era
rimasta custodita tra le pagine di un libro, in attesa
che qualcuno la trovasse. La mano invisibile del destino aveva scelto lui, e
una sera l’aveva accompagnato alla scoperta di quella cartolina con la foto di
un panorama di Lisbona. Stava per rimetterla nel libro, e l’avrebbe
fatto, dimenticandosene per sempre, se non l’avesse girata e avesse
visto la firma di sua zia, e, poco sopra, un indirizzo di Lisbona. Che cosa significava? Non lo sapeva, e avrebbe
avuto solo un modo per scoprirlo. In quel momento sentì che stava per
prendere una decisione tanto determinata quanto assurda: non sapeva né cosa
avrebbe dovuto cercare né cosa avrebbe potuto trovare. Tutto ciò che aveva era
un indirizzo, vecchio di dieci anni. Ma oramai aveva
deciso: sarebbe partito per Lisbona. Non sapeva perché, ma sentiva che glielo
doveva. Lo doveva a sua zia. E forse anche a sé
stesso.
Accompagnato dai suoi
pensieri si era ritrovato tra i ripidi e stretti vicoli dell’Alfama. Si scostò per lasciare il passo a
un vecchio che stava rincasando con una borsa di plastica. Il
vecchio sorrise, e scomparve dietro al portone di casa. Ripiegò la
cartina e la rimise nello zaino. Lasciò che i suoi passi si smarrissero tra i
vicoli, le piazze e le scalinate di quel quartiere; si lasciò guidare dai
profumi, dalle ombre e dalle lame di luce che penetravano tra i muri delle
case. Si sentiva sospeso nel tempo, come se intorno a lui tutto si fosse
cristallizzato in un momento imprecisato della storia, rimanendo poi
imprigionato nella propria immobilità. Il tempo era riuscito a scalfire solo
l’aspetto esteriore di quell’angolo di Lisbona, ma non era riuscito a intaccare la sua parte più profonda e nascosta. Gli ricordava una nobile stanza riccamente arredata, che nessuno, da
anni, si preoccupava di spolverare. Fu l’Alfama
stesso a guidare i suoi passi fino alla vetrina di una libreria antiquaria: un
po’ sorpreso, vide che era l’indirizzo che cercava. Entrò, e nella penombra del
piccolo locale gli si fece incontro un vecchio; il suo passo era incerto e prudente,
mai suoi occhi, contornati da una fitta ragnatela di rughe, erano neri, curiosi
e penetranti come quelli di chi si aspetta ancora di essere stupito dal mondo e
dalla vita. Lo salutò, gli mostrò la cartolina e
chiese se ne sapeva qualcosa.
Il volto del vecchio
libraio si illuminò in un sorriso:
- Sono contento che sia
arrivato…
Gli restituì la cartolina e
scomparve nel retro.
Rimase sconcertato dalla
risposta del libraio che sembrava stesse attendendo la
sua visita. Quando tornò, il vecchio aveva con sé un
libro e una busta. Glieli consegnò:
- Oggi lei sta esaudendo il
desiderio di una persona…
Si allontanò lentamente.
Stentava a credere a quanto
stava succedendo, e non riuscì a trattenersi dall’aprire la busta per leggerne
il contenuto. Le mani gli tremavano leggermente.
Chiunque tu sia, grazie di
cuore per avermi cercata.
Ti ho lasciato questo
piccolo regalo. Ho sempre amato i libri antichi, e anche quelli semplicemente
vecchi: il soffio delicato delle loro fragili pagine sembra accarezzare
il segreto delle vite di tutti coloro che li hanno letti e tenuti tra le mani. Ma sono sempre stati troppo preziosi per le mie possibilità.
Sono riuscita a regalarmene qualcuno, scovato pazientemente su qualche
bancarella, o cedutomi dal mio amico antiquario che oggi tu hai conosciuto.
Questo è uno di quei libri, e te lo voglio regalare.
Ho amato questa città e
questo Paese. Ho amato il luogo dove oggi ti trovi e il libro che stai tenendo
tra le mani. Dovrò per sempre ringraziare il mio amico antiquario e l’amicizia
che ci ha legati. Ho amato concedermi qualche pausa
accanto alla statua di Pessoa seduto a un tavolino: rimanevo ore assorta a guardare il volto del
poeta. Mi faceva sentire bene. Ho amato lasciare che i miei occhi si
smarrissero nella contemplazione del blu dell’oceano dalla scogliera di Cabo da Roca, ho amato quel
luogo magico, le bianche increspature delle onde, il vento che sembrava
catturare i pensieri, scagliarli verso l’alto, mischiarli e confonderli per poi
separarli e ricomporli; ho amato l’infinito, l’ho cercato con lo sguardo oltre
l’orizzonte dell’oceano, e con il cuore tra i versi di Camoes.
Ho amato e portato nel cuore tutto questo.
Il destino non ci regala
nulla, siamo noi che dobbiamo cercare, cercarci e conquistare tutto ciò che ci
sta a cuore, con l’aiuto di chi ci ama e di chi
amiamo.
Mio marito mi ha lasciata pochi mesi fa, e forse io lo seguirò a breve…a te,
che oggi mi hai conosciuta attraverso queste poche righe, auguro di continuare
il tuo cammino nel miglior modo possibile, e di trovare il coraggio di
inseguire i tuoi sogni.
Grazie ancora, e buon
cammino…
Si commosse, e per un
attimo non riuscì nemmeno a parlare. Gli sembrò che per un istante il tempo si
fosse fermato, per aspettarlo e per poter rendere reale quell’incontro inatteso.
Poi si voltò verso il libraio, che sorrise:
- La ringrazio molto, per
tutto.
- E’ stato un piacere. Lei
ne sarebbe stata felice. Era una ragazza piena di vita, leale, sincera.
Soffriva per essere stata dimenticata dalla sua famiglia. Oggi lei ha alleviato
questa sua sofferenza.
Sorrise pensieroso. Sentiva
che avrebbe voluto dire tante cose a quel vecchio
libraio, ma non sapeva cosa.
- Ora devo andare - disse
infine - Arrivederci.
- Arrivederci….mi scusi,
quando riparte?
- Martedì sera.
- Bene. Potrebbe, per
cortesia, passare a trovarmi lunedì prossimo? Mi raccomando,
non se ne dimentichi.
- D’accordo. Passerò.
Lasciò l’Alfama, con un groviglio di pensieri e di
immagini che si susseguivano nella sua testa. Non solo aveva trovato
l’indirizzo della cartolina, ma anche qualcuno che, a distanza di dieci anni,
lo stava praticamente aspettando per esaudire il
desiderio di una persona scomparsa.
Si fermò un attimo
all’ombra di un albero nella piazza del Rossio. Ora faceva caldo, e quel piccolo attimo di freschezza era un
piacevole sollievo. Mentre guardava l’elegante piazza,
le rovine del Convento del Carmo, le fontane e la
statua di Pedro IV pensò di aver capito perché sua
zia aveva scelto proprio quella città: si faceva ammirare, ti stregava con il
suo fascino, e riusciva con la sua atmosfera a riportarti in te stesso. Ti
accoglieva, ti faceva sorridere, e ti faceva pensare.
Arrivò davanti al cafè A Brasileira, il locale che Pessoa aveva amato, e si sedette a
un tavolino, il più possibile vicino alla statua del poeta. Ordinò da bere, e
vi rimase parecchio tempo, a riflettere e a rileggere più volte la lettera che
sua zia aveva affidato al suo amico antiquario. Di tanto in tanto guardava il
volto del poeta, scoprendolo diverso da come se l’era
immaginato quando, qualche anno prima, l’aveva conosciuto tra le righe di un
suo libro, Il libro dell’inquietudine. Da quando l’aveva letto, spesso gli
capitava di riprendere tra le mani quel libro e di aprirlo a caso, per poi
lasciarsi trascinare nel misterioso universo nascosto in quelle righe che
avevano la forza e l’intensità per farlo vivere, anche se solo per pochi
istanti, in un’altra dimensione, in una realtà nascosta che gli sembrava più
vera e autentica di quella conosciuta.
Immaginò sua zia, seduta al
tavolo della cucina, che teneva tra le mani quello stesso
libro, immersa nella lettura e nella riflessione. Chissà a cosa pensava
in quei momenti, cosa sognava….e pensò a quel libro come a
un sottile filo invisibile, che era riuscito a tenere legate due persone nel
tempo e nello spazio.
Trascorse il pomeriggio in
quel quartiere, e cenò in uno dei suoi locali. Quando
tornò in hotel salì in camera e guardò la notte scendere su Lisbona, quella
stessa e immutabile notte che stava scendendo sul Chiado,
vivace, piena di vita e colori, e sull’Alfama, lenta,
silenziosa, dolce, e malinconica come le note di uno splendido Fado.
Quando parcheggiò e scese dall’auto che aveva
noleggiato un vento fortissimo lo costrinse a chiudere gli occhi per
proteggerli dalla polvere. Quando li riaprì vide il
faro di Cabo da Roca che svettava imponente sulle
scogliere.
Si diresse verso l’oceano,
sulla cui superficie i raggi del sole si frammentavano
in minuscole tessere di un luminosissimo mosaico. Rimase per un po’ immobile,
in contemplazione di quella distesa che sembrava spingersi fino ai confini
dell’infinito. Sentiva i suoi pensieri e le sue sensazioni rincorrersi
disordinate, fino a che qualcuna di esse riusciva a
scansare le altre e uscire in superficie, anche se solo per pochi e quasi
impercettibili attimi, che il tempo dell’anima faceva sembrare dilatati.
Si voltò verso la colonna
che ricordava a tutti le coordinate geografiche di
quel punto, ma il suo sguardo indugiò sui versi di Camoes:
“Aqui…onde a terra se acaba
e o mar comeca…” , …qui, dove la terra finisce e
inizia il mare…in quel punto misterioso e insondabile che spesso ci si para
davanti improvvisamente, e ci costringe a una scelta che vorremmo rimandare,
quel punto dove termina la terraferma delle nostre certezze, dove il nostro
animo rimane sospeso sopra le tormentate e sconosciute onde dell’ignoto e del
mistero.
Fece qualche passo tra la
bassa vegetazione delle scogliere, e poi si fermò ancora, davanti all’oceano.
Schegge di ricordi,
frammenti di memoria, echi di sentimenti lontani, menzogne camuffate da
speranze….e quel ricordo…quel ricordo che, mai sopito, stava ora emergendo,
senza un motivo apparente, dagli angoli più nascosti e profondi
della sua anima….ma ora, per la prima volta, riusciva
a guardarlo negli occhi senza fuggire, riusciva a considerarlo una semplice
pagina della sua vita, e non un nemico da cui fuggire e nascondersi. Quel
ricordo sarebbe stato per sempre una parte di lui, ma,
in quel momento, capì che non sarebbe più stato un pesante manto nero che
impediva allo sguardo della sua anima di guardare oltre. Ora era un semplice
velo, che si posava leggero, impalpabile e trasparente come un’ombra.
Era già lunedì, e si
ricordò di passare alla libreria antiquaria, dove il vecchio amico di sua zia
lo accolse con un sorriso e lo accompagnò nel retro del negozio, dove gli offrì
un the.
- Allora…mi racconti un
po’…come ha trovato la mia Lisbona?
Iniziò a raccontare del suo
arrivo, tra dubbi e incognite, della lettera di sua zia, della statua di Pessoa e di Cabo da Roca, dell’Alfama, dell’elegante grandiosità del quartiere di Belem, del Fado, della Rua Augusta e del Rossio, del Chado, dell’Avenida de Libertade e della saudade …parlò
di quei giorni che erano passati troppo in fretta, e il vecchio lo ascoltava, attento
e compiaciuto, felice di sentire nelle note della voce del giovane lo stesso
entusiasmo che aveva sentito alcuni decenni prima nella voce della sua vecchia
amica. Non aveva dubbi: quella città era entrata nell’anima del giovane.
Prima di congedarsi estrasse
da un cofanetto di legno un’altra busta e la porse al giovane:
- Ora so di potergliela
dare. Sono molto felice di averla conosciuta. Quando
tornerà a Lisbona passi a trovarmi. Le offrirò un the.
- La ringrazio – rimase un
po’ stupito del fatto che il vecchio non gli aveva detto
se tornerà, ma quando tornerà a Lisbona, dando per certo un suo ritorno…
Si strinsero la mano e si
guardarono con uno sguardo che, più di ogni parola
significava gratitudine sincera e amicizia.
Quando uscì dal negozio aprì la busta: un
semplice biglietto con un altro indirizzo, e poco più sotto un codice. Girò il
biglietto: “Grazie, di tutto”, e la firma di sua zia.
Quando arrivò all’indirizzo
segnato sul biglietto rimase ancora più stupito: la
sede di una banca. Prima di entrare si sedette al bar di fronte e prese un
caffè. Pensò che, probabilmente, dieci anni prima a quell’indirizzo vi fosse
qualcos’altro, e che, quindi, la sua ricerca sarebbe terminata al tavolino di
quel bar. Quando il cameriere arrivò con il caffè gli chiese
da quanto tempo quella banca si trovava lì:
- Di preciso non lo so. So
solo che io ho 36 anni, e l’ho sempre vista lì.
Non potevano esserci più
dubbi: sua zia voleva che lui andasse proprio in quella banca. Ma sua zia aveva scritto nella prima lettera che non aveva
mai avuto grandi possibilità economiche. Cosa poteva
c’entrare una banca? Era tutto così incredibile…ma del resto, all’inizio di
tutta questa storia, cosa non era sembrato strano e assurdo? Poi, lentamente, i
contorni dell’assurdo erano sfumati per lasciar posto a
un inatteso mistero, che, altrettanto lentamente, si era svelato. E ora, che sembrava tutto finito, quello stesso mistero
stava iniziando a scrivere un altro capitolo. E lui
non chiedeva altro che continuare a leggere.
Entrò in banca. Si rivolse
al primo impiegato libero, e gli mostrò il codice sul biglietto di sua zia.
L’impiegato
gli chiese di attendere, sparì dietro una porta e ricomparve dopo un
paio di minuti per chiedergli di seguirlo. Fu accompagnato nell’ufficio di un
funzionario che gli chiese i documenti, i nomi dei suoi genitori e dei suoi
nonni. Non capiva perché gli facesse quelle domande; poi, dopo aver consultato
attentamente un registro, il funzionario gli chiese di
aspettare un attimo:
- E’ tutto a posto. Lei può
avere accesso alla cassetta.
Aprì la porta di una stanza
e lo pregò di attendere. Pochi minuti dopo posò una cassetta sul tavolo, e gli
consegnò una busta chiusa che conteneva le chiavi per aprirla.
Si ritrovò solo davanti a quella
cassetta: l’aprì con cautela, come fosse di un preziosissimo cristallo. Sopra a
tutto c’era un foglio. Riconobbe la scrittura di sua zia:
“Grazie per avermi voluta
conoscere. Qui ci sono le ultime opere di mio marito, i miei diari e qualche
libro, quelli che ho amato di più. Non c’è nulla di prezioso, ma è tutta la mia
vita. Chiunque tu sia, sono veramente felice che sia
arrivato fin qui, e abbia potuto aprire la cassetta. Grazie, di cuore.”
Commosso, guardò le poche
tele, opere del marito della zia, i diari, tenuti in quaderni a righe scritti
con una calligrafia piccola e fitta, e i libri che l’avevano accompagnata lungo
il suo cammino. Sorrise, quando prese tra le mani un libro e
ne lesse il titolo. Non sapeva il portoghese ma quel titolo lo sapeva
tradurre: era “Il libro dell’inquietudine”.