Margherita Bodini

 

Il lungo matrimonio di Sancho Muñoz Rivera

 

Sancho Muñoz Rivera camminava accostato al muro di calce bianca, che si andava sgretolando contro la sua manica. Cercava l’ombra del tetto sottile, che si sporgeva di poco sopra al marciapiede. Arrivò così a toccare con la spalla il vetro caldo della rosticceria e lì in piedi, di fianco alla vetrina schizzata di grasso, rimase a contemplare l’esposizione orrorosa dei polli allo spiedo. Quel giugno il termometro aveva già raggiunto i trentaquattro gradi e Sancho sudava nella camicia di cotone beige. Si chiedeva come la gente potesse entrare nella rosticceria di Paco Martínez e ordinare un pollo unto, che girava nell’aria, triste e ridicolo. Per non parlare della scortesia di Paco. Sancho odiava mangiare pollo e, in generale, preferiva non mangiare animali, per motivi che nemmeno lui sapeva spiegare. Si staccò dalla parete e attraversò la strada deserta, comprò un’orzata nel caffè di fronte e la sorseggiò durante il cammino verso casa. Sul marciapiede di via Fernando erano esposte delle portulacche gialle e fresche che lo sorpresero. Entrò, scambiò quattro chiacchiere con la vecchia Pilar e ne comprò un vasetto. Una volta rientrato a casa annaffiò i fiori, gli trovò un posto sul balcone e si sedette sulla sedia di vimini in un angolo d’ombra; inspirò. Sulle ginocchia il secondo volume della nuovissima enciclopedia: era contento d’avere una curiosità che gli permettesse di consultarla. L’aveva comprata qualche mese prima, passando per grida e improperi della moglie, che lo rimproverava di non saper badare ai loro risparmi. Questa fu, davvero, la prima grande ribellione di Sancho in trentacinque anni di matrimonio. Erano le due del pomeriggio e pensò che lei, a quell’ora, doveva essere in qualche museo di cui in realtà non sapeva nulla, seguendo una guida che sventolava una bandierina. O forse, più verosimilmente, si trovava in un ristorante, essendo quasi ora di pranzo. E che sua moglie amasse il cibo più di ogni altra cosa, questo era fuor di dubbio, sì, lo amava anche più di lui. Cercò il lemma e aprì il volume alla pagina esatta e, come sempre faceva quando si trovava solo, iniziò a declamare ad alta voce: «Il Broiler è un tipo di pollo dalla cute gialla e il piumaggio bianco, allevato specificatamente a scopi produttivi. Grazie alla sua rapidissima crescita e ai bassi livelli di attività, il b. è ritenuto una specie molto redditizia per l’industria di pollame. Esso può solitamente raggiungere un peso tra i 2,3 e i 3,5 kg in soli 35-42 giorni, momento attorno al quale viene ucciso». Prima di proseguire, Sancho Muñoz Rivera rilesse queste poche righe nella mente. Non si spiegava perché si ostinasse a leggere vanitosamente ad alta voce, quando si distraeva al suono stesso delle parole. Forse lo faceva solo per sentirsi padrone della sua casa, ora che Antonia non c’era. Proseguì solenne: «In realtà industriali, il b. viene allevato in un ambiente sotto stretto controllo, in grandi spazi al chiuso, assieme a migliaia di altri polli, con una densità di 10-15 volatili al metro quadrato». Sancho sollevò gli occhi dalla pagina e, con un rapido sguardo abbracciò il suo salotto. Lui che tanto amava la solitudine, si sentì immensamente sollevato di non essere nato broiler. «Ha accesso solo ad una dieta a base di mangime con contenuto proteico molto alto, distribuito tramite un sistema automatico e meccanizzato, nello stesso luogo in cui il b. passa tutto il resto del proprio tempo: lì mangia, dorme e defeca». Sancho sbatté la lingua sul palato e sorrise beato del sapore dell’orzata che gli rimaneva in bocca. «A causa dell’illuminazione artificiale costante presente nella maggior parte degli stabilimenti, però, l’animale è indotto artificialmente a rimanere sveglio contro la propria natura, essendo un volatile diurno». Sancho iniziava a pensare che la vita del pollo allo spiedo era la peggiore che si potesse immaginare, senza sonno per i trenta giorni della propria corta vita! «Il risultato è un aumento dell’intensità nel processo di nutrizione, con considerevoli vantaggi sulle tempistiche di produzione, e  un’alimentazione basata su un “programma di crescita modificata”». Senza farci molto caso, il termine gli portò alla mente la dieta che sua moglie tante volte aveva tentato di fare... «Per evitare il contagio di malattie, molti stabilimenti di allevamento aggiungono sostanze antimuffa e antibiotiche al cibo». Sancho cercò di riportare alla mente l’ultima volta che sua moglie avesse cucinato pollo e gli parse che non dovevano essere passate più di due settimane. Temeva che presto sarebbe tornata a riproporglielo in tavola. Per fortuna il viaggio sarebbe durato ancora tre giorni. «In queste condizioni di vita, il b. non ha possibilità di uscire dal luogo in cui viene allevato e molto spesso non ha possibilità di movimento, a causa dei ristretti spazi.» E Sancho pensava che lui amava così tanto passeggiare... certo, non era un uomo dal fisico sportivo, né un avventuroso, ma alla sua tranquilla passeggiata del dopopranzo non aveva mai rinunciato, e ne era orgoglioso. Infine si accomiatò dal broiler: «Secondo un recente studio di un’università danese, in molti polli b. si riscontrano cedimenti nelle giunture e nelle zampe, a causa del peso eccessivo che il loro corpo assume. Inoltre, solo una terza parte dei b. presi in analisi si trovava in condizioni sane al momento del macello». Nemmeno alla morte arrivano felici, rifletté e, appoggiando sulle gambe il volume color porpora, alzò gli occhi e si lasciò scaldare il volto dal sole, che ormai aveva raggiunto anche il suo angolo di balcone. In quel momento di silenzio di un pomeriggio d’estate, dopo un breve istante di accrescimento di cultura personale, Sancho si sentì improvvisamente solo. La casa vuota, la moglie fuori, i polli condannati a girare su uno spiedo infuocato dopo tremende sofferenze terrene... No, dopotutto non era questo che rendeva Sancho infelice. Forse un poco i broiler sì, forse erano correlati. Ma il resto no. Il quel momento in cui sentiva, con stupore, che il calore del sole gli risultava piacevole dopo un istante di ombra, si trovava più cosciente di se stesso e delle proprie emozioni. Era contento di essere solo con le nuove portulache, era contento che sua moglie fosse in viaggio in qualche città d’Europa, di cui ora non ricordava il nome; tuttavia, continuava a sentirsi solo.

Alle tre e quindici la secchezza della gola e il sudore che gli colava giù per il petto lo svegliarono. Raccolse il prezioso volume enciclopedico che gli era scivolato da un ginocchio e lo richiuse con cura, controllando che non si fossero fatte pieghe. Si passò una mano sulle guance e si diresse al bagno. Lo specchio rivelò un triste scherzo del sole, che gli aveva abbrustolito la fronte. Si sciacquò con acqua fresca e, dopo lunghe ricerche, trovò la pomata per le scottature. Se ne pose un abbondante strato bianco e fresco su tutta la fronte, fino alle stempiature della cute e, perché no, anche un po’ sul naso, che iniziava anch’esso a scottare. Una volta così pitturato, ebbe solo il tempo di lavarsi le mani, quando il campanello della porta suonò. Sancho era un uomo sensibile, ma di quella razza di persone pratiche e modeste, senza pretese di vanità, che non pensò un attimo prima di andare ad aprire. Mercedes prima gli sorrise, poi lo guardò sorpresa e, per ultimo, lo fissò interrogativamente. La donna viveva nella palazzina di fronte ed era insegnante di storia. Gli mancava un anno alla pensione e sognava di ritirarsi nell’entroterra a coltivare l’orto e a godersi il silenzio. Sancho rispose al sorriso e le diede il buongiorno, quando Mercedes scoppiò a ridere: «Che ti sei combinato?» Mercedes reagì così, perché questo era la maniera più scontata in cui si potesse reagire. In fondo in fondo non lo trovava tanto mostruoso così conciato, anzi, forse anche gli piaceva. In verità, quel caldo pomeriggio di giugno, Mercedes Guzmán era venuta a dichiarare il suo amore a Sancho Muñoz Rivera. Aveva aspettato tanto tempo, mesi di pensieri soffocati rivolti a lui. Quella mattina però, mentre passava con le borse della spesa in via Fernando, aveva visto Sancho comprare dei fiori da Pilar e sì, si era detta, quel giorno gli avrebbe parlato. Sarebbe andata da lui, gli avrebbe suonato alla porta e avrebbe sperato che fosse lui ad aprire. Ad ogni modo, se le avesse aperto Antonia, non avrebbe avuto timore di parlarle, né di chiederle di vedere il marito, magari per questioni di condominio. Lei e Sancho erano stati i rappresentanti delle due palazzine per quasi sei anni ormai, e si erano sempre intesi bene: avevano risolto come si poteva anche le più feroci liti, persino quelle a base di grida insulti sputi degli insopportabili del secondo e terzo piano. Passate esperienze di questo tipo, al limite dell’umanità, pensava Mercedes sempre, si finisce per volersi inevitabilmente un po’ bene. Ora però, in piedi davanti al suo ingresso, Mercedes trovava che l’aspetto di Sancho fosse inadatto ad una conversazione seria e a lungo ponderata come la sua. Non poteva certo parlargli come avrebbe voluto, facendo finta che non fosse mascherato – e poi chissà per qual motivo! –  e si limitò a ridere, sorreggendosi allo stipite in legno. Sancho la guardò a lungo, col suo sguardo tranquillo, senza capacitarsi delle risa. Alla fine la invitò a prendere un caffè, come al solito, ma Mercedes gli disse che sarebbe passata in un momento più adatto per una questione della caldaia. «Potresti invitarmi quando vai a delle serate in maschera, Sancho!», gli gridò dalle scale, sempre ridendo. Sancho richiuse le porta e si sdraiò silenzioso sul divano. Solo quando la sua guancia lasciò un’ampia macchia bianca sul cuscino, si rese conto di ciò che era accaduto.

Erano passati due giorni, c’era stato un brevissimo temporale notturno e poi il sole era riapparso cocente fin dalle prime ore del mattino. Sancho aveva riflettuto sulla visita di Mercedes, senza capire perché, in fondo, se ne fosse andata. Sì, lui l’aveva accolta con una pomata non spalmata in volto, ma si conoscevano da tanto e non c’era motivo di vergognarsi... Si chiedeva anche perché non fosse ritornata. Le questioni della caldaia erano sempre urgenti, vista la poca pazienza dell’idraulico. E così pensando, Sancho guardò il taccuino e vide che era il ventinove di giugno. Quel giorno, senza che lui ne fosse cosciente, si sarebbe concluso il suo matrimonio. Uscì verso le undici a comprare della lattuga e delle uova per il pranzo e si fermò anche all’edicola. Il giornale si era già assottigliato, come ogni anno, quando si faceva estate. Sancho si chiedeva se davvero con la calda stagione accadessero meno fatti interessanti nel mondo, o se semplicemente facesse troppo caldo nelle redazioni perché i giornalisti vi rimanessero fino a sera. Sfogliò le prime pagine e poi passò alla pagina culturale, alla ricerca di una notizia che attendeva da settimane. E quel dì, un ventinove di giugno afoso, Sancho Muñoz Rivera vide finalmente un suo sogno realizzarsi. Seduto su una panchina in piazza Sant’Agata, trovò a pagina sedici l’articolo che annunciava i vincitori del concorso di poesia della città. “Isidora e la felicità” era arrivata al terzo posto. Si sentì immensamente felice. Lesse e rilesse la sua poesia, stampata su carta di giornale, con carattere di giornale, pensando che era stata letta e votata e apprezzata; che ora si trovava stampata e sotto gli occhi di tutti e che, finalmente, ora sua moglie avrebbe smesso di dirgli che perdeva il suo tempo. Sancho avrebbe ritagliato la pagina e l’avrebbe appesa nel salotto, vicino alla vetrina del servizio da tè, ben in vista. Dopo una buona mezzora, ripiegò il giornale con cura, se lo infilò sotto il braccio e s’incamminò sorridendo verso casa. In via Fernando salutò la vecchia Pilar con tanto di cappello e inchino, mentre lei gli sorrideva senza denti, appollaiata su uno sgabello sull’uscio del negozio. Sul viale sterrato di casa lanciò il cappello di paglia tre volte in aria e lo recuperò, tenendo cura che il sacchetto delle uova non si urtasse. Nel salire le scale, però, ebbe come una cattiva impressione, la sensazione d’avere dimenticato qualche cosa. Ecco, il calore, via Fernando, Pilar e il suo sorriso di fiorista, le portulache gialle... ecco: ancora non si era ricordato di concimare le portulache! E sì che Pilar s’era raccomandata! Ora si sarebbero bruciate, con quel sole... Affrettò il passo e, ansimante, infilò la chiave nella serratura, quando si accorse che la porta di casa era aperta. In mezzo al salotto troneggiava la valigia di pelle marrone. Il suo profumo al sandalo vagava già per tutta la casa. Sua moglie era tornata un giorno prima. O era Sancho che s’era confuso? Non osava chiederlo, per non sentirsi deridere e, soprattutto, non importava. Era tornata e lui non si era potuto gustare l’ultimo giorno di solitudine. Sancho si trascinò in cucina, con l’insalata e il giornale ciondolanti nelle due mani, le uova in un sacchetto appeso al polso. All’entrare in cucina, il sacchetto sbatté contro la porta e chissà, un uovo o due si ruppero. «Ah, eccoti! Sai che è quasi la una? Dov’eri? Avresti potuto lasciarmi il pranzo, no?» «Bentornata. Ora, ora preparo.» «No, lascia stare, sennò si mangia alle tre. E pensare che ti avevo detto che avrei avuto fretta! Tra un’ora mi devi accompagnare dall’oculista... Non fare quella faccia, non posso certo tornare in macchina: con le gocce non ci vedo, lo sai. Non farmi parlare per niente. Io ora mangio, se ti sbrighi ce n’è anche per te. Per fortuna ho fatto in tempo a passare da Paco prima che chiudesse». Così dicendo, Maria Antonia García y Jiménez in Muñoz Rivera pose sul tavolo un broiler di 2,3 kg di peso, ben abbrustolito e con un foro che gli trapassava il corpo in verticale, dal collo all’ano. A quella vista, Sancho Muñoz Rivera y Castillo, suo marito da ormai trent’anni, o da un secolo o da un millennio, si sentì come colpire allo stomaco: un colpo forte e che bloccava il respiro. Non fece in tempo a raggiungere il gabinetto e la colazione gli si riversò sui pantaloni di lino e sulle piastrelle di marmo. Tra le grida di Antonia, disgustata dal marito che l’accoglieva con attacchi di vomito, Sancho si ritirò nel bagno. Si sciacquò il viso e il collo; poi si passò un cucchiaio di colluttorio in bocca e si sedette sul water. Rifletté qualche minuto, ma gli risultava impossibile andare più in là di un singolo pensiero, che la moglie già picchiava alla porta strillando. Con un gran sospiro, Sancho si decise ad uscire. Antonia gli strattonò la manica, rinfacciandogli il ritardo che si andava accumulando. Sancho si chiuse in camera e cambiò camicia e pantaloni. Poi tornò in cucina, recuperò il suo giornale e diede un ultimo sguardo al piccolo broiler di quattro settimane che lo fissava triste dalla tavola. Inciampò in un sacchetto da cui usciva un liquido giallo e si accorse di aversi trascinato le uova nella fuga verso il bagno. Passò incolume attraverso la barriera di parole vuote e sibilanti che Antonia lanciava nell’aria e, come protetto da una membrana di nuova consapevolezza, passò per il balcone, dove prese le sue portulache gialle. Infine, aprì la porta di casa e pensò che doveva essere davvero ora di discutere della caldaia con Mercedes, prima che l’idraulico chiamasse e fosse troppo tardi.