Miriam Ibrahim
Il volo dell’aquila
Per me quello era il momento più rilassante…! Ma,
all’improvviso, sentii uno stridio talmente acuto da farmi saltare i timpani,
proveniente dall’esterno.
Guardai fuori dalla finestra e vidi
un’aquila enorme che volava alta nel cielo, mostrando tutta la sua bellezza, la
sua lucentezza.
Io avrei voluto cavalcare quel corpo grosso e agile; mi arrampicai
sul davanzale e feci per mettere il piede destro sull’aquila.
Mi svegliai di colpo, da quel mio sogno parso incredibile e mi
misi le mani in faccia, volevo finire quel sogno, volevo sapere come andava a
finire, ero sempre stata curiosa.
Dopo essermi ripresa, mi vestii per andare a lavorare, avevo solo
16 anni e abitando in una famiglia povera dovevo aiutare mio padre Hall ed
Alex, mio fratello, nel vendere i tappeti che cuciva mia madre, Elisa.
Era una giornata diversa dalle altre, al negozio c’era già un
sacco di gente, tutti volevano un tappeto che io non avevo mai visto, chiesi
perciò ad Alex che mi rispose:
“Ciao Beatrice, il tappeto lo ha appena cucito mamma, non so
perché la gente è così attratta.”
Era vero che il tappeto era diverso, ma in fondo, a me, non
piaceva molto, ce n’erano di migliori. Aveva come disegno
centrale un’enorme aquila stilizzata, nera con uno sfondo rosso fuoco.
C’erano solo tre copie e venderlo a tutti che lo richiedevano, sarebbe stato a dir poco complesso, quindi Alex allontanò i
clienti, lasciando il negozio deserto.
Io, Alex, Elisa e Hall, rimasti soli, ci guardammo in faccia stupiti per l’accaduto.
Giunse finalmente sera, Alex ed io portammo
tutti i tappeti in una grotta, per evitare che qualcuno potesse rubarli
(naturalmente li nascondevamo tutte le sere).
Sentivo che quel giorno non era normale, infatti
Alex nella grotta trovò su una roccia un ciondolo a forma di aquila.
“Lo sapevo io!” Dissi.
“L’aquila nel sogno, quella sul tappeto e ora questo ciondolo!”
Pensai.
“ È un segnale.”
Alex era impietrito, era successo tutto così velocemente, non
riusciva a capire niente
“Quale sogno?” Disse.
Ed ancora. “Quale aquila?” “ Sono
confuso, cerca di spiegarti meglio”, disse.
“Hai perfettamente ragione, stanotte ho fatto un sogno
stranissimo, il mio sogno di volare su un’aquila si stava avverando, ma io
all’improvviso mi sono svegliata di colpo e tutto era finito.”
Avevo risposto tutto in un sol fiato, quindi mi dovetti
sedere un attimo per prendere fiato.
Dopo alcuni minuti che mi sembrarono tutta
una vita Alex, prese il ciondolo, se lo mise al collo e aggiunse:
“Tu come sorella sei veramente strana, comunque
tutto questo dovrà restare un segreto tra noi,
neanche i nostri genitori dovranno saperlo”.
Erano ormai le due di notte e a casa nostra madre e nostro padre erano molto in pensiero per noi, quando arrivammo alla
capanna loro, dopo averci abbracciato, ci sgridarono, soprattutto io presi
molte colpe, perché avrei dovuto badare a mio fratello, più piccolo di me di
cinque anni.
Dopo essermi addormentata, rifeci quel sogno e non arrivai mai al
punto di salire sull’aquila.
La mattina ero scioccata, come il giorno prima.
Avrei voluto fare la pittrice, per rappresentare i miei sogni, per
sfogarmi, ma alle donne nel mio paese era vietato fare le pittrici, altrimenti finivano in prigione.
Alex, prima di andare ad aiutare papà corse come un forsennato
nella mia camera, aprendola senza bussare:
“Guarda, guarda Bea! Guarda che cosa ho
scoperto!” io risposi con tono cattivo, non poteva
entrare nella mia camera senza bussare ed avere il mio permesso.
“Come ti permetti, Alex, sei impazzito?”
Alex non si rassegnò, era sempre più eccitato
“Ho scoperto una cosa fantastica, guarda!”
Mi mostrò il ciondolo, quello a forma d’aquila che avevamo trovato la notte precedente. Alex lo aveva aperto e
all’interno si trovava una mappa: rappresentava la zona di territorio in cui
abitavamo, non capivo, però dove conduceva.
Alex ed io ci preparammo senza esitare.
Mettemmo solo le cose essenziali nei piccoli zaini: un cambio di vestiti, una
coperta molto pesante (nel deserto, anche se di giorno si
“muore di caldo” di notte le temperature diminuiscono con degli sbalzi
impressionanti), molto cibo, perché pensavamo di stare via molti giorni, una
scatola di fiammiferi e qualche moneta che avevamo ricavato in due mesi, di
certo ci avrebbe dato aiuto.
Eravamo pronti alla partenza, ma avevamo un problema: come
potevamo dirlo ai nostri genitori? Di sicuro ci avrebbero preso per pazzi,
giacché non ci sono molti ragazzi in Africa che pensano di scappare da un luogo
sicuro come la casa ed andare ad avventurarsi nel deserto, un luogo arido e
pieno di pericoli.
Dopo un po’ di tempo che eravamo seduti sul letto a pensare, mi venne
un’idea e ne parlai con Alex:
“Che ne dici se scriviamo un messaggio ai
nostri genitori?”
Alex rispose:
“Bella idea, peccato che nessuno di noi due sa scrivere” Aveva
perfettamente ragione, da noi solo i più ricchi sanno scrivere!!!
Eravamo punto a capo, il problema
non era stato
risolto. A me venne una nuova scintilla “Possiamo rappresentare il tutto con un
disegno, questo almeno lo sappiamo fare.”
Prendemmo un foglietto e, con l’unica matita a disposizione, io
disegnai velocemente la strada che rappresentava il ciondolo d’aquila, che Alex
portava ancora al collo.
Era giunto il momento di partire, uscimmo io, Alex e l’animaletto
di mio fratello: Thuban, che in arabo significa serpente, era un cobra
sputatore rosso, un serpente lungo 70 cm, molto aggressivo, che è innocuo solo
quando sta sul braccio di Alex.
Passammo in tutta fretta dietro
il negozio di tappeti senza farci vedere dalla mamma, poi svoltammo dietro la
bancarella di cianfrusaglie di mio zio e poi ancora, senza voltarci, verso una
distesa rocciosa, dove c’era il pozzo; lì trovammo nostro padre intento a
prendere l’acqua per la casa; fortunatamente era chinato con il capo verso il
pozzo e non ci vide.
Senza esitare scattammo verso il primo grande
masso in vista.
Aspettammo finché nostro padre non si fosse allontanato abbastanza
e, quando non fu più in vista, ci alzammo e con calma ci incamminammo,
sapendo che la strada da percorrere era molta.
Dovevamo attraversare il Sahara fino ad arrivare in Egitto.
A casa, quando la mamma tornò dal lavoro, trovò il biglietto e
chiamò mio padre che, infuriato ma anche un po’ in pensiero, cercò di
rassicurarla.
Noi intanto decidemmo di non fermarci a dormire, perché con il
fresco della notte potevamo camminare più a lungo che con il caldo del giorno.
Alex prese un bastone, legò un pezzo di tela in cima e lo accese con un
fiammifero, per farci luce.
Di giorno camminavamo fermandoci a dormire tre o quattro ore verso
mezzogiorno, perché era il punto più caldo della giornata; continuammo con questa andatura per ben cinque giorni e cinque notti, finché
non sorsero i primi problemi: l’acqua finì, non avevamo più da mangiare ed
eravamo stanchissimi.
Per Alex, la situazione era ancora peggiore: gli mancava la
famiglia ed essendo più piccolo era più affaticato di me.
Potevamo contare solo su una risorsa: una bussola, con quella e
con la mappa riuscimmo a trovare in tempo un’oasi, per fare rifornimento
d’acqua e catturare e uccidere qualche piccolo animale da mangiare. Finalmente
ci rifocillavamo, non solo, lì ci riposammo un intero
giorno, per riprendere le forze.
Dopo sette giorni dalla partenza, in mezzo al deserto, Alex cadde in una trappola piantata da qualche fuorilegge, era
una buca con il fondo tappezzato da bastoni appuntiti.
Alex si fece male. La buca era così profonda che non riuscivo a
tirare fuori mio fratello.
Dopo una giornata di disperazione e tentativi, per nostra fortuna,
passò lì vicino una carovana.
Con una corda mi aiutarono a portare mio fratello fuori dalla buca. Così ci accorgemmo che un bastone gli aveva
bucato il braccio sinistro.
Teven, il capo della carovana, prese una tela bianca pulita, la
bagnò con dell’acqua e la mise sul braccio di Alex,
che fece una smorfia di dolore, ma si ravvivò vedendo Thuban salirgli sul
braccio destro e con cautela si attorcigliò su di esso.
Ci accampammo in una tenda riservata a noi e, subito ci
addormentammo.
Il giorno dopo ci svegliammo e, dopo una colazione gustosa, chiesi
a Teven di portarci fino a Luxor, da lì avremmo continuato
la strada da soli; lui accettò e per quattro giorni camminammo sui cammelli,
riposandoci il più possibile.
Arrivati in un paesino, ci fermammo per la notte, montammo in
tutta fretta il recinto per i cammelli e le pecore.
Dormimmo la notte e la mattina, appena fui sveglia, aprii la tenda
e lo spettacolo che vidi fu tanto sconcertante che mi misi
ad urlare come una pazza. Alex impaurito si svegliò, si avvicinò a me per
chiedermi spiegazioni, ma fece la mia stessa faccia.
Uscimmo, i cammelli non c’erano, neanche uno anche le pecore erano scomparse. Ci fiondammo alla capanna di Teven, ma non
lo trovammo dentro, era fuori, con in mano la redine
di un cammello.
Lui disse spensierato: “ Erano tanti briganti, in carovana, circa
una ventina di persone. Sono scappati e siamo senza niente
e senza speranza di portarvi a Luxor.”
Quindi, penso che ci dobbiamo salutare,
voi dovete continuare il viaggio da soli. Alex gli rispose: “Hai ragione.”
Ci salutammo con un caloroso abbraccio ed io gli strinsi la mano.
“Che peccato, mi piaceva il vecchio Teven, avremmo
potuto continuare senza problemi.” Aggiunse Alex.
Girammo in città alla ricerca di cibo ed acqua.
Finalmente ripartimmo per il deserto, tutti
soli, con davanti a noi solo dune di sabbia e a me cominciarono a venire
i primi miraggi.
Vedevo all’orizzonte distese fertili, acqua, Alex mi scosse da una
spalla e mi fece notare: “Ecco, le prime case dopo giorni!”
Io risposi eccitata di sì: ”Siamo arrivati finalmente a Luxor!”
Eravamo al massimo della gioia, il nostro viaggio era quasi
concluso, bastava trovare l’aquila e tornare felici a casa.
Luxor era diversa dai nostri villaggi, le case soprattutto non
arano capanne di paglia, erano in argilla con tetti piatti a differenza dei
nostri.
Sistemammo tutti i bagagli fuori dal
villaggio, in una rientranza nelle rocce.
Per la prima volta dormii senza fare il sogno
dell’aquila, era una nottata tranquilla, non fredda con un lieve
venticello fresco, una notte perfetta.
La mattina Alex era sveglio prima di me, aveva preparato il suo
zaino ed era pronto a partire.
Io in tutta fretta lo imitai, volevamo
fare presto, per evitare il caldo di mezzogiorno.
Mio fratello guardò il ciondolo e ci dirigemmo verso una duna
rocciosa, dalla parte a nord della città.
Passata la duna… il momento della verità:
decine e decine di rapaci imprigionati in piccole gabbie che urlavano, affinché
il mio udito si indeboliva; era un unico stridio.
Alex era al mio fianco: “Guarda Bea, vicino a quella gabbia ci
sono delle persone.” Erano gli stessi briganti che avevo visto allontanarsi con i cammelli di Taven.
Mettemmo velocemente appunto un piano.
Mi avvicinai da un lato, Alex dall’altro, lui
doveva fare da esca.
Aprii la prima gabbia e subito lui si mise ad urlare e ne aprì un’altra corse il più lontano possibile da me,
nascondendosi dietro le gabbie e talvolta aprendone alcune.
Ero arrivata all’ultima, Alex corse da
me, eravamo in trappola, io impugnai un bastone da terra e lo scagliai contro
il lucchetto della gabbia che in un primo momento resistette all’impatto col
bastone, ma il mio secondo colpo era più forte, tale da romperlo.
Uscì di scatto quel magnifico animale che con un’alata fece cadere
atterra due di loro, improvvisamente arrivò Teven con
i suoi compagni.
L’aquila mi buttò sul suo corpo, distese le ali e volò.
Era bellissimo, indescrivibile; finalmente avevo capito: il sogno,
poi il tappeto e il ciondolo, erano tutti dei messaggi
per condurmi qua, a salvare l’aquila.
Scese a terra e intanto Teven aveva recuperato
capre e cammelli e si assicurò che i
mascalzoni finissero in prigione.
Infine tutto finì per il meglio, Alex ed io montammo
sull’aquila che in un solo giorno di volo ci riportò a casa.
All’arrivo i nostri genitori ci abbracciarono, ma non ci
sgridarono e da allora in poi, nella famiglia, ci fu un membro in più:
l’aquila!