Simona Rossi

Lungo il Naviglio

Deve essere passato molto tempo ormai, ne sono sicuro. Me lo dice la luce, che più volte ho già visto cambiare di intensità e di colore; e me lo dicono le mie ferite, che sento più aperte e fanno un po’ più male.

Sono schiacciato contro una griglia di ferro, incastrato tra una lattina vuota di pelati e un sacchetto di plastica pieno non so di cosa. Mi sento soffocare. Attorno a me un’infinità di bottiglie, borse della spesa, scatolette…

Tento in tutti i modi di spingere lo sguardo oltre, nel disperato tentativo di scorgere una presenza amica. Un pesce! Ma… è strano. Non nuota, è a pancia all’aria. Un filo di nylon strappato fuoriesce dalla sua bocca, aperta in una smorfia. E’ morto.

Invano mi sforzo di guardare verso l’alto, ho un bisogno tremendo di respirare. Mi manca l’aria, ogni attimo di più. Ma dov’è finito l’azzurro del cielo? E le nuvole? E il sole? E gli uccelli? E le chiome degli alberi?

Dove mi trovo?

Vedo solo grigio sopra di me, e tanto sporco intorno. Un odore orribile mi circonda, un odore che non conosco. E’ totalmente diverso dal profumo frizzante della primavera, non centra niente con l’umido sentore dolciastro dell’autunno o con il sapore della terra cui ero abituato, e non mi ricorda nemmeno l’inconfondibile odore della nebbia. Nulla mi aiuta a capire dove il mio lungo viaggio mi abbia condotto, so solo che non mi piace.

Mi sembra ieri…

Faceva freddo, un freddo così pungente che penetrava in ogni fibra. Nevicava, nevicava in continuazione. Era uno spettacolo insolito la neve per me, abituato a trascorrere il lungo inverno addormentato, non avevo mai gustato quel fascino senza tempo. E il bianco, che come un’immensa trapunta ricopriva ogni cosa confondendone i contorni, creava un paesaggio fiabesco e carico di mistero. Non mi stancavo di seguire curioso le larghe falde che scendevano leggere dal cielo, bellissime farfalle fuori stagione, ciascuna impegnata a eseguire una danza solamente sua.

Come pesavano però!

A tratti avvertivo, più o meno vicini, scricchiolii per nulla rassicuranti, percepivo un brivido correre dentro di me, un’emozione sconosciuta che mi faceva sentire vivo.

Avevo abbandonato di malavoglia il lungo sonno invernale, risvegliato da qualcosa a cui non sapevo dare un nome. Ora però curiosità e stupore erano più forti della paura, e mi spingevano a guardarmi instancabile intorno, per fare miei quegli attimi inattesi di pura magia.

All’improvviso… un crack!

Per una frazione di secondo tutto si è messo a vorticarmi intorno, poi un tonfo sordo. E più nulla.

Un tiepido sole e qualcosa di umido che mi sfiorava mi hanno strappato dal mio oblio. Ma… Quale pittore geloso aveva rubato ogni frammento di quel candido mantello?

Il cielo era tornato di un azzurro intenso, che pareva ancora più profondo in contrasto a pochi, bianchissimi ammassi di nuvole, rese quasi vive dal vento capriccioso. E un meraviglioso profumo di rugiada, di fiori, di foglie appena nate. Di Vita. Lo conoscevo bene. E l’erbetta tenera, di un verde così puro da fare invidia allo smeraldo più bello, mi faceva il solletico.

Eppure qualcosa mi sfuggiva…

Perché sentivo l’erba così vicina? E gli amici alati, come mai volavano tanto alti lassù, così lontani da me? E dov’era il nido pigolante dei vivaci cardellini, soliti ogni anno a farmi compagnia?

Percepivo quella misteriosa cosa umida e morbida annusarmi, mentre due dolci occhioni attenti, seminascosti da un ammasso di peli neri, mi fissavano divertiti, già sicuri di quello che avrebbero fatto. E in un attimo mi sono sentito stringere forte e sollevare da terra, e ho iniziato a correre… correre senza capire più nulla. Un mondo nuovo e affascinante, di cui mai avrei immaginato l’esistenza, mi scivolava rapidamente accanto: una miriade di persone, alberi, biciclette, acqua che faticavano a trovare la loro giusta collocazione nei miei occhi e nella mia mente. Fino a quando…

Laky! Laky vieni! Porta qui!”

Era una vocina acuta, infantile ma decisa, che come una calamita mi ha riportato al punto di partenza, quell’angolo di mondo che conoscevo tanto bene. Solo allora ho capito.

Ho alzato lo sguardo, inutile conferma di una verità che già il mio cuore conosceva e che ormai non avrei potuto cambiare. Ero a terra, ai piedi di quell’albero di cui per tanto tempo ero stato parte. Ora giocattolo di un cucciolo e del suo padroncino.

E adesso?

Il mio inaspettato viaggio era appena cominciato: davanti a me si aprivano un’infinità di mondi sconosciuti, tutti da percorrere e scoprire. Sapevo che la mia nuova vita non sarebbe stata lunga… ma certo meritava di essere vissuta fino in fondo.

All’improvviso qualcosa mi ha di nuovo staccato dal suolo, impedendomi di perdermi nei miei pensieri: erano due manine tenere stavolta, che mi stringevano senza farmi male, ogni loro movimento accompagnato da strane parole.

Bidibi Bodibi ! Trasforma il mio triciclo in una bici blu!”

E via via mi puntava verso tutto ciò che attirava la sua attenzione.

Abra Cadabra… Abra Cadà! Voglio diventare grande come il mio papà!”

Non riuscivo a dare un senso a tutto questo, ma era divertente! Mi sentivo come parte di una giostra invisibile, animata da quella fantasia che è propria solo dei bambini.

“Luca! Ma insomma! E’ mai possibile che devi sempre raccogliere tutto ciò che trovi a terra? Buttalo subito!”

Eccomi di nuovo tra l’erba. Peccato.

Mi sono guardato curioso intorno: davanti a me una grigia striscia di asfalto, non troppo larga, percorsa da gente di ogni età, chi in bicicletta e chi a piedi. Non vedevo altro. E una confusione di voci, risate, schiamazzi che coloravano l’aria di tutti i suoni della vita.

“Dai Andre! Vuoi sbrigarti? Tocca a te!!”

Pum - Pum - Pum!

Ta - Ta - Tara - Ta – Ta – !

“E’ inutile che scappi… Ormai sei mio!”

Pam - Pam - Pam!

“Credi forse di farmi paura? Ti sbagli di grosso!”

Ratta - Ta - Rattà!

Pam - Pum - Pam!

“Troppo tardi… Sei in trappola! Getta la pistola!”

E così mi sono trovato, arma innocua, abbandonata accanto a un uomo.

Le gambe leggermente divaricate terminavano in un paio di scarpe sformate, che di strade e di esperienze dovevano averne fatte molte. Il corpo, rilassato e insieme fremente, sembrava essere tutt’uno con la canna, che mani callose stringevano con sicura dolcezza.

Una grande serenità scaturiva dall’espressione degli occhi, dalla curvatura delle labbra e da ogni suo movimento, lento ma deciso, talmente naturale da essere ormai come parte di lui. Uno stato di pace irreale lo avvolgeva, tanto profonda che la vivace confusione circostante non poteva in alcun modo scalfire.

L’uomo si è spostato di pochi passi, lo sguardo rapito dalla lenza che sembrava a tratti dare piccoli strattoni, invisibili a occhi meno allenati. Nient’altro esisteva intorno a lui. Perso a fissare la punta della canna che si fletteva impercettibilmente non si è accorto di me, spettatore silenzioso.

Splash! …

Tutto d’un tratto mi sono sentito pervadere da una sensazione sconosciuta, strana ma piacevole. Sentivo che quell’acqua mi avrebbe regalato, ancora per poco, nuovi attimi di vita e di emozione. Galleggiando senza fatica, cullato dal dolce dondolio della corrente, mi lasciavo semplicemente trasportare. Accanto a me pesci curiosi, foglie smarrite, tristi sacchetti di plastica.

Ero incantato da un’infinità di sfumature impossibili da descrivere, tremuli riflessi di tutto ciò che mi accompagnava oltre le sponde. Erano alberi carichi di foglie di ogni tonalità, che nell’acqua creavano pennellate dei verdi più intensi, rese vivide da fugaci raggi di sole che si intrufolavano tra i rami. Erano antiche case ricche di passato, con i balconi ingentiliti da gerani rossi e violetti. Erano chiese e campanili, che riflettevano nel movimento perenne dell’acqua la loro semplice maestosità carica di significato. Erano ponti, in legno, pietre, mattoni. Non so dire sotto quanti io sia passato durante il mio lungo viaggio, affascinato dalla perfezione della loro sagoma ho smesso di contarli. Ne ricordo ancora uno che mi ha fatto tremare… Sotto di lui ho avvertivo come il rimbombo di antiche cannonate, colpi di fucile, urla di soldati. E poi un altro, col suo scheletro di ferro e i gradini di sassi. Senza sosta si rincorrevano ville splendide coi loro giardini, lampioni illuminati, campi coltivati, vecchi palazzi, le tende colorate dei mercatini…

Avevo come l’impressione di rivivere, avvolto dal continuo scorrere della corrente, l’eco di storie ormai lontane, di un passato indimenticabile di cui quelle stesse acque erano state testimoni. Storie individuali, semplici e per questo speciali, capaci di diventare quelle di ciascuno, capaci di donare un nuovo significato al presente.

E quante pagine ci saranno ancora da scrivere e da raccontare…

Sentivo le canzoni delle donne inginocchiate ai lavatoi e i loro panni battuti. Percepivo la fatica dei barconi e il fiato pesante dei cavalli. E i tuffi incoscienti di giovani spensierati, l’allegria delle cuccagne, i colpi ritmati delle regate. I guizzi colorati dei fuochi d’artificio, i riflessi della Luna, le tenebre silenziose della notte. I palpiti della Vita, i sospiri della Morte.

Fino a quando una fredda griglia arrugginita ha posto fine al mio andare.

Solo i pensieri, quelli sì veramente liberi, hanno continuato il loro eterno viaggio, e con loro i sentimenti e i ricordi, carichi degli insegnamenti del passato, pronti a vivere pienamente le nuove esperienze future.

Non ho più voglia di sforzarmi di vivere, sono stufo di soffrire così. E’ stato un lungo viaggio, e ne è valsa la pena, ma ora sono stanco. Eccola di nuovo, sempre più insistente, quella vocina dentro che mi chiama.

Perché continuare a lottare?

E’ tanto dolce lasciarsi semplicemente andare…

Sento la scorza che lentamente si stacca, senza farmi male, come qualcosa che non è più mio; i piccoli tagli stanno diventando spaccature profonde, gonfiati dall’acqua.

Smetto di respirare. E’ solo un attimo.

Il profumo dell’erba e l’intensità dei colori mi stordiscono, i tiepidi raggi del sole marzolino scaldano di nuovo la mia ruvida corteccia. Ora sono certo di essere giunto alla mia ultima destinazione. Finalmente.

Sento un insistente, piacevole formicolio che mi percorre tutto. Conosco bene questa sensazione, sono loro: le gemme! Nuovi fratelli intorno a me cancellano ogni traccia di solitudine.

E come un tempo, in un luogo che non è più terrestre, la magia della Vita ricomincia… 

Per sempre.

Per tutti.