Occhi nuovi

Bruna Saracco

 

Il percorso da Ehrenburg a Bad Gastein sembra interminabile. Ma il paesaggio merita il viaggio. Cime dolomitiche. Montagne alte con picchi aguzzi. Il fascino della nuda roccia, imponente, frastagliata. Quelle cime hanno un ché di sacro. Incutono timore e rispetto. Territori che l’uomo non dovrebbe osare violare. Come Uluru per gli aborigeni australiani. Sacralità che gli arrampicatori con spirito di conquista non sanno rispettare.

Ma ancor più affascinanti le cime verdi dalle linee morbide, dolci pendenze ricoperte da fitte foreste di pini che invitano ad essere penetrate, respirate, vissute. Foreste interrotte a tratti da spazi aperti, soleggiati. Distese di prati come tappeti di velluto su cui posare i piedi o distendere il corpo, per sentire il contatto con la terra. Madre terra che genera, nutre, trasforma, purifica.

 

Sono attratta dalle nuvole. Nuvole speciali che qui, in questi luoghi e in questo momento, hanno un fascino particolare. Catturano lo sguardo e gli occhi scivolano in ogni direzione per seguire la loro lenta danza. Semplicemente lasciarsi andare ad accompagnare la loro corsa immaginando il vento che le sospinge, è già meditazione. E allora è la mente che viaggia, più veloce del corpo fisico, dal quale a tratti si allontana…

Forse noto di più certi particolari, come la delicata bellezza delle nuvole, perché mi sono avvicinata alla pittura, così come osservo con una nuova sensibilità un quadro. Vedo la realtà come un dipinto. Immagino di riuscire a trasformarla in un acquarello. Così, per magia.

Ma allora, mi chiedo, queste nuvole sono davvero più belle o sono io che le “guardo con occhi nuovi”? Diceva Proust che il vero viaggio di scoperta non è esplorare nuovi paesaggi, ma guardare con occhi nuovi. Sì, i miei occhi sono nuovi. E il cielo mi appare a volte come una tavolozza di colori, con infinite sfumature di rosa, ocra, rosso, grigio. Ma altre volte si tappezza di nubi bianche, trasparenti, soffici, che discendono fino ad adagiarsi su pieghe e curve come un manto leggero. Nubi eteree, diafane, che illuminate dal sole mi appaiono come un pulviscolo dorato che avvolge morbidamente i pini e sfiora la distesa verde brillante come tocco di cipria chiara. E i confini tra sogno e realtà, magicamente, si dissolvono…

Il sinuoso serpente d’asfalto sale adagio srotolandosi tra verdi vallate luminose e strette gole infilate tra pareti di roccia.

Ad un tratto la strada si interrompe. Le auto si infilano su un lungo vagone. Si continua il viaggio su un trenino che si insinua nel ventre della montagna scivolando lento.

Ed ecco apparire Bad Gastein, dopo la lunga galleria. Paesino termale dove si respira, si beve, ci si circonda di radon. Abbarbicato su una parete rocciosa, tagliato in due da un impetuoso torrente bianco e spumeggiante, simile ad una ferita aperta, profonda e irregolare, tracciata verticalmente nel centro del suo cuore. O meglio, nel cuore del suo centro.

Un ponte unisce i due lati del paese. Un ponte da cui si ha una visione della forte pendenza del luogo. Pendenza che accelera la corsa dell’acqua. E in fondo, dove l’acqua raggiunge il massimo della velocità e del fragore, l’hotel. Per raggiungerlo si scende sul lato destro del torrente.

Hotel davvero delizioso, in posizione suggestiva, dotato di centro termale, con saune, hammam, piscine e idromassaggi, e con ampie vetrate che si affacciano sulla cascata.

 

Notte insonne a Bad Gastein. Mi sveglio all’una e il sonno non torna fino all’alba. La stanza d’angolo, da due lati  si affaccia direttamente sulla cascata, nel punto più ripido del torrente, che proprio qui, sotto le finestre di questa stanza, fa un grande balzo in verticale. Il rumore assordante è di molto attenuato dalle finestre isolanti. Ma nella notte è quanto basta per generare nella mente la visione delle sue acque mosse e turbolente, che precipitano rapide e impetuose in un’eterna, affannosa corsa senza sosta. Allora cerco di cancellare quella visione che mi inquieta, sostituendola con quella di un laghetto trasparente, tranquillo e silenzioso, adagiato in una conca circondata da una folta vegetazione color verde intenso. L’immagine mi calma. E mi accorgo che per viaggiare il corpo non serve. Che fortuna poter viaggiare con la mente! Ma è già quasi l’alba quando mi riaddormento per un poco…

 

Ed ecco…è mattino. Mi guardo intorno. Il luogo invita a risvegliarsi coccolandosi. Bagno termale, idromassaggio con solleticanti bollicine che non trascurano neppure i più piccoli e nascosti dettagli del corpo. Poi una ricca e rigenerante colazione, tipicamente austriaca. Un grande buffet da cui scelgo frutta fresca, composte di frutti di bosco, cereali, yogurt, semini, torte ai mirtilli e dolcetti, tisane di erbe di montagna.

Ormai la notte insonne è dimenticata, insieme al rumore della cascata. Fra poco un trenino che entra nelle viscere della montagna ci condurrà nella galleria termale, calda, umida e ricca di radon. Radon che respireremo e lasceremo penetrare nel corpo attraverso tutti i pori…

 

In un luogo come questo è inevitabile che sorga qualche dubbio. Ma dunque questo radon, questo gas così potente, è veleno o terapia? Ma la risposta arriva ancor prima di aver terminato la domanda: entrambi, ovviamente. Come insegna l’omeopatia, per tutte le cose, anche per i veleni più letali, è sempre una questione di dose.

Mi sdraio, chiudo gli occhi, il corpo pesante, abbandonato, sempre più rilassato. Mi lascio andare. Penso solo a respirare. Finché non riesco più a pensare. Con questo tepore umido è facile perdere i sensi, lentamente, dolcemente…

Ed ora, qui, nelle viscere della terra, in questo tunnel caldo e buio, nella più assoluta immobilità…ora che non riesco più a pensare e la mente è completamente assente… stranamente mi ritrovo a viaggiare.

E  mi accorgo che per il mio viaggio immaginario non solo il corpo è un inutile fardello, ma anche la mente può non servire a niente.